Davide Faraone. «Gli occhi di Sara mi hanno aperto il mondo»
Sara c’era, alle ultime quattro Leopolde. Ma non è una militante, né una simpatizzante di Italia viva. «Oggi non parliamo però di politica, di partiti. Parliamo delle cose che contano veramente», ci dice il senatore Davide Faraone. Scusi, chi è Sara?, gli domandiamo. «Sara è mia figlia, 17 anni – ci risponde -. È autistica. Sara è l’amore della mia vita, come per ogni padre. È paura del futuro. Tanti punti di domanda, ai quali spero di dare una risposta». Incontriamo Faraone, stretto collaboratore di Matteo Renzi, per parlare del suo ultimo lavoro. Tra le mani ha "Con gli occhi di Sara", agile volume (130 pagine, 14 euro) appena pubblicato da Rubbettino, in cui questo palermitano di 44 anni abbandona quelle sicurezze che "per professione" il politico mostra e mette a nudo la sua esperienza di padre che ha deciso di superare quel mix di pudore e vergogna che ben conosce ogni familiare di una persona disabile. Da tre anni ha reso pubblica la condizione della sua famiglia e le esperienze di padre, che in queste pagine si incrociano con quelle di altri genitori. Un percorso che ha trasformato la “pagina bianca” del malessere in una tavolozza di colori, proprio come avviene ogni volta che torna a casa da Sara.
Faraone, perché questo libro? Ne ha parlato con sua figlia?
Sara non ha questo grado di consapevolezza: il suo autismo fu scoperto quando aveva due anni, parla poco, con lei comunico con i disegni che facciamo insieme o tramite WhatsApp, perché è rapida invece con le tecnologie. Il libro vuol essere come una consacrazione finale dell’utilizzo degli strumenti di comunicazione, che alza il velo su questa condizione.
Che condizione è?
È una vita che non va vissuta “a imposte chiuse”, come tante famiglie tendono sempre a fare e come, a volte, ti costringe a fare lo Stato stesso. Quelle finestre, al contrario, vanno spalancate per vivere la realtà “con gli occhi” di questo proprio figlio, perché le paure si affrontano solo andando loro incontro. È la stessa ragione per cui nel 2015 con un gruppo di persone abbiamo creato la Fia, la Fondazione per l’autismo. Non sa quanti personaggi, anche importanti, da allora mi hanno contattato, confidandomi di avere anche loro un figlio autistico.
Che “compagno di vita” è l’autismo?
È una patologia unica, con un’oscillazione che spazia dal genio fino a chi non sa allacciarsi le scarpe. Davanti a essa la più grande paura è di non essere capace di entrare nel mondo del proprio familiare. Ogni tanto la porto con me anche ai dibattiti politici, e la soglia della sua attenzione diventa il parametro della durata ideale della riunione.
Nel libro Faraone analizza, con stile intimo e leggero, farcito anche con citazioni di canzoni, da Bersani (Samuele) a Ligabue, questa apparente "terra di nessuno", questa distanza che all’inizio può apparire immensa e che solo con la condivisione si annulla. Lo fa oscillando di continuo fra la vicenda personale (vedi il delicato episodio in cui racconta della Comunione di Sara, da lui scortata in chiesa col pensiero che «sarebbe stata la prima e l’ultima volta che l’avrei portata all’altare, che sarei stato io l’uomo della sua vita»), e alcune delle tante incrociate. Come la storia di Giovanna, madre con la casa adorna di cornici d’argento con le foto dei bei ricordi e un presente fatto del figlio Daniele, che ogni giorno la 'obbliga' a fare lo stesso, lunghissimo giro in auto. O quella di Pietro, incontrato in carcere dopo aver ucciso suo figlio Andrea.
Faraone, che vita è quella del genitore di un autistico?
È un’immersione rapidissima, seguita da una lenta emersione. Quando la parola autismo è entrata nella mia vita, mi sono chiuso. Temevo tutto, anche andare in pizzeria, pensavo che Sara potesse disturbare. Diversi amici sono spariti. Per lungo tempo, troppo, ho cercato di separare la vita privata dall’impegno pubblico. Per non esporre Sara e anche per non prestare il fianco a quanti speculano su ogni cosa e leggono tutto in negativo, a uso e consumo di una realtà che non si sforza di andare oltre il banale.
Come si concilia la sfera privata con l’impegno politico?
C’ero sempre riuscito. Poi lo scorso marzo, all’improvviso, Sara ha avuto una crisi violenta, in piena fase di primarie del Pd. Mi sono dedicato solo a lei: niente Senato, niente giornali, niente tv, niente social network. Alcuni colleghi compresero, altri no. Eppure fu una delle mie scelte più politiche.
In che senso?
Mi è capitato di recente di discutere di cateteri in un centro disabili e, subito dopo, di prender parte a una riunione per decidere assetti politici. So bene che la politica è anche questo, e se perdi diventi subito un fallito. Ma ciò la rende autoreferenziale, come una casa del Grande fratello. Aumentano gli spazi a essa dedicati, la gente segue ma non partecipa. Ho capito che la politica ha il dovere di ricostruire la scala delle priorità. Questo è il modo per ridarle dignità. E io l’ho compreso grazie a Sara. Ho appreso a costruire le realizzazioni della vita parametrando tutto alle potenzialità di lei. E che, in ogni campo della vita, non esiste l’incapacità di comunicare, semplicemente manca la voglia.
Ma la politica deve aiutare di più?
Sempre. Spero infatti si possa approvare presto una legge sui caregiver per consentire a chi ha un figlio disabile di poterlo assistere a casa, senza rischiare di restare privo di reddito.