Politica. Gli «evviva» tardivi al premier che invia segnali a tutti i partiti
Per Draghi un selfie fra i giovani
C’è tutto lo scarto, anche un po’ irrazionale, tra la realtà e le aspirazioni del-l’Italia che guarda al voto, nella platea del Meeting che riserva un trattamento da 'star dello spettacolo' a Mario Draghi, il premier dell’ex 'governo dei migliori', ad appena 24 ore di distanza dagli applausi comunque scroscianti destinati dal 'popolo di Cl' a Giorgia Meloni, l’aspirante premier che deve ancora dimostrare di essere all’altezza del ruolo.
Una sorta di 'vorrei ma non posso' che misura la distanza fra l’aspirazione, più o meno confessata, che molti italiani nutrono ad avere un premier dotato di un’autorevolezza senza pari (culminata nella frase di Giorgio Vittadini, uno dei 'padroni di casa': «Noi siamo draghiani, la gente mi pare che lo abbia fatto capire ») e la realtà dei leader politici 'su piazza' nella giostra elettorale. E lui, il 'superMario' scalzato (pur senza il coraggio di togliergli direttamente la fiducia) da Palazzo Chigi come un dc qualsiasi della prima Repubblica, nella sua ieraticità venata ieri da un po’ di commozione ha mostrato il volto salomonico di chi, tra le righe del discorso, pur mandando un generale stimolo di fiducia ha voluto spedire messaggi precisi all’una e all’altra parte politica.
Al di là di chi, come il leader del Terzo polo Carlo Calenda, che si prefigge di riportarlo in sella, si affretta a ripetere che «questa persona, il suo metodo, la sua autorevolezza non possono andare perduti ». Mentre Matteo Renzi annota: «Tutti applaudono Draghi, bravi! Ma il 25 settembre gli altri sostengono chi lo ha mandato a casa. Gli unici coerenti siamo stati e saremo solo noi». I messaggi di Draghi, dicevamo. Sin troppo evidente è quello all’anima sovranista che permane in parte del centrodestra, con la sottolineatura che quando «vogliamo isolarci» l’Italia «non va da nessuna parte» e che si cresce realmente solo all’interno di un contesto europeo e atlantista.
Meno alla luce del sole, però, nel discorso di Draghi ce n’era uno - e non meno forte - anche per quel centrosinistra abituato da troppo tempo a crearsi un avversario e a poi demonizzarlo, nell’illusione di incamerare così più voti: no, dice l’ex presidente della Bce, l’Italia può farcela quale che sia «il colore» del prossimo esecutivo. Anche con questo centrodestra, quindi. Un invito a una coesione nazionale che sia pure politica. Chissà quanto colto dall’Enrico Letta leader Pd che ricorda, invece: «Ascolto il discorso di grande orgoglio italiano ed europeo di Draghi. E poi penso che Salvini, Berlusconi e Conte si sono aggiunti il 20 luglio a Meloni per farlo cadere».
«Draghi ci consegna un metodo e la fiducia, soprattutto nei giovani», sostiene invece Maurizio Lupi, di Noi moderati. A sera, a lasciare una reazione di segno opposto è solo Giuseppe Conte, l’ex premier ora capo di M5s: «Draghi ha retto il Paese in una situazione d’emergenza. Ma per quanto ci riguarda, lascia un’eredità modesta nel campo della transizione ecologica».