L'INTERVISTA. «Giusto tentare fino in fondo di salvargli la vita»
Tre mesi sono tanti...
Non so se ci si arriverà, ma certamente è uno sforzo che va fatto: quel feto è una persona viva e l’intera società gli deve lo stesso rispetto che chiunque di noi pretenderebbe se si trovasse in alto pericolo di morte. Tutti noi vorremmo che i medici facessero di tutto per salvarci e non c’è nessun motivo per cui non lo si debba fare per quel bambino. Anche nel caso tristissimo che sua madre invece fosse già in morte cerebrale.
Il trauma vissuto da Carolina può aver influito sul figlio in grembo?
Ogni alterazione dello stato di una madre si riflette sul feto, ma non possiamo sapere se e quanto. Quando le hanno sparato, Carolina avrà avuto sbalzi importanti di pressione e questo potrebbe aver causato sbalzi altrettanto importanti nell’ossigenazione e nel nutrimento del piccolo. Così come avrà prodotto adrenalina e altri ormoni, che provocano cambiamenti transitori del battito cardiaco fetale.
In caso di morte cerebrale della donna, crescere in una madre che non è in grado di interagire può essere influente?
Il feto risente di tutto ciò che la madre fa e prova, dunque la carenza in questo caso potrebbe esserci. Tutta la situazione è delicata: da una parte c’è un’incognita di rischio legata a due fattori, il trauma già subìto e in futuro la nascita certamente prematura, ma dall’altra c’è, come ho detto, il suo diritto a vivere, che gli è dovuto. Infine però c’è anche il rispetto dovuto a sua madre, che non è un’incubatrice ma una persona: i medici saranno molto attenti a non ledere anche la sua salute e la sua dignità. Se la vita del feto non vale meno di quella di una adulto, non possiamo però nemmeno cadere nell’errore opposto.
Fino a che punto è lecito e doveroso procedere?
Se si vede che ogni sforzo è inutile, bisogna fermarsi.
In quali casi ad esempio?
Se il feto desse chiarissimi segni di non crescere o addirittura segnali di fine vita, dovremmo prendere atto e fermarci. La medicina non è onnipotente, non le è lecita ogni cosa per il solo fatto che ha gli strumenti per farla. Comunque su questo punto sono tranquillo: nessun medico ha mai interesse all’accanimento terapeutico e nessun ospedale – specie in tempi di crisi – si imbarcherebbe mai in un’impresa del genere se non ci fosse una ragionevole speranza di farcela. Bene fanno, quindi, a provare fino in fondo tutto ciò che possono e a tutelare la dignità di entrambe le vite.