Lo scontro. Giustizia, Conte e Anm all'attacco del governo
Il Guardasigilli Nordio e il numero uno dell'Anm Santalucia
Domenica, Marina di Palermo. Va in scena l'ultimo atto del congresso nazionale dell'Anm. E la mozione finale, approvata per acclamazione, è un segnale netto inviato al ministro Carlo Nordio. Per il presidente Giuseppe Santalucia «non si tratta» su una riforma «cattiva». Le toghe oppongono un corale "no" alla separazione delle carriere e alla revisione del Csm: «La Costituzione non si tocca». E lanciano una campagna di «mobilitazione culturale e comunicativa». «Non siamo una casta», precisa il rappresentante dei magistrati. Quasi a voler rispondere per le rime alle recenti dichiarazioni di Matteo Salvini, che proprio con la parola "casta" aveva definito la magistratura. Chi invece chiama in causa direttamente i ministri del governo è il leader M5s Giuseppe Conte. Dal palco del capoluogo siciliano, attacca la «reazione indecorosa e corporativa» dei membri dell'esecutivo «di fronte ai perversi intrecci tra politica e affarismo». La vicenda ligure non viene citata, ma è sullo sfondo. Il ministro Guido Crosetto, chiamato a esprimersi in un'intervista, parla di «magistratura politicizzata». E il presidente pentastellato alza i toni. Per Conte, il governo non solo «delegittima l'azione delle toghe», ma con la sua riforma della giustizia mette in atto una «svolta autoritaria che presenta assonanze con il progetto di rinascita democratica della P2». Parole molto gravi per la Lega, che invita il leader M5s al confronto tv con il segretario Salvini.
A poche settimane dalle elezioni europee, la giustizia resta terreno di scontro politico totale ed entra di peso nella campagna elettorale. Conte arriva a Palermo per dire che sulla separazione delle carriere: «Il modello italiano non va rivisto». Ma anche per insistere sulla battaglia per la legalità: di fronte alle «premesse per una nuova Tangentopoli», invita i partiti «a fare pulizia al proprio interno. Non lasciamo che siano soltanto le inchieste giudiziarie a dettare le regole», ammonisce. Il leader non nomina mai Genova. Ma il caso Toti, da una parte all'altra dello Stivale, continua a generare reazioni. La segretaria dem Elly Schlein rivendica: «Noi siamo i primi a prendere le distanze dalla corruzione». E pungola il centrodestra: «Dall'altra parte, quando arriva un arresto di un presidente di Regione si mettono i ministri a fare l'avvocato d'ufficio». Dalla maggioranza, Crosetto esprime «ribrezzo verso le persone che speculano su vicende di questo tipo». E chiama in causa, senza nominarlo, anche un ministro di Forza Italia che, «di fatto, scarica Toti». Per il leader degli azzurri Antonio Tajani, però, le dimissioni del presidente della Regione restano una scelta del diretto interessato. «Ma credo che adesso sia prematuro», chiarisce. Forza Italia, nel giorno in cui l'ipotesi di una riforma della giustizia viene respinta con decisione dall'Anm, sceglie di continuare a insistere sul suo cavallo di battaglia. «Andiamo avanti sul progetto perché abbiamo preso un impegno con gli elettori». Ma nonostante il pressing di Tajani, è difficile - si ragiona in ambienti parlamentari - che FI possa piantare la bandierina della riforma prima delle europee. Tra gli alleati di governo, la Lega fa comunque sponda. Il capogruppo alla Camera, Maurizio Molinari, sottolinea l'esigenza di riformare la giustizia, anche con un ruolo diverso del pm, che «in altri Paesi risponde alle direttive del ministro della Giustizia». E se la maggioranza cala le carte delle riforme nella corsa verso le europee, le opposizioni provano a far saltare il tavolo. Avs con Angelo Bonelli, sulla giustizia attacca la «svolta autoritaria» del governo. E il presidente dem Stefano Bonaccini, proprio in risposta alle «riforme della destra», torna a chiamare la piazza del 2 giugno in difesa della Costituzione.