Senago. Giulia, il piccolo Thiago e noi: perché le vittime di violenza sono invisibili
Un primo piano di Giulia Tramontano tratta dal suo profilo Facebook
Di Giulia Tramontano resta una bella fotografia su cui piangere e lasciar fiori e dediche, ma il suo omicidio è solo la punta dell’iceberg e all’Italia deve parlare d’altro per non essere l’inutile spettacolo di qualche giorno, coi suoi particolari pruriginosi che già vengono romanzati, pronti per essere dati in pasto ai commenti (migliaia in queste ore) sui social. È l’appello che arriva da chi con le donne vittime di violenza e i loro bambini, anche quelli mai nati, lavora ogni giorno come Ilaria Baldini, storica operatrice volontaria del Cadmi di Milano: «Ciò che dobbiamo chiederci davanti a questo scempio, ancora una volta, è cosa sia venuto prima che esplodesse. Quando, cioè, e come sia iniziato il ciclo della violenza di cui senz’altro Giulia deve essere stata protagonista, chissà da quanto tempo, senza che nessuno se ne accorgesse attorno a lei. Non abbiamo bisogno di leggere nelle carte che il suo compagno fosse, come tutti gli uomini autori di violenza, ossessionato dal controllo, che probabilmente la manipolasse, che la gravidanza fosse essa stessa tra gli strumenti di manipolazione e di potere esercitato su di lei».
I dati certificati dall’Istat, d’altronde, parlano chiaro e secondo l’esperta sono ampiamente sottostimati: proprio durante la gravidanza, quando cioè una donna diventa più fragile e dovrebbe essere più seguita e rispettata, la violenza non solo in un caso su 4 non diminuisce, ma per quasi il 12% delle donne aumenta e nel 5% dei casi inizia. Fisicamente, con schiaffi e botte e abusi. «È il segno più lampante della mancanza di riconoscimento delle relazioni che c’è all’origine della violenza, persino di quella relazione primaria che è il dare la vita. Tutto, la donna, i figli, diventa oggetto. Tutto esiste solo in funzione del far sentire un uomo come tale, nell’ottica di un maschile che si qualifica solo come controllo ed esercizio di potere, in uno scenario di sconfortante disumanizzazione». Così Giulia, da bellezza ostentata con gli amici dell’Armani hotel dove lui lavorava, è diventata per Alessandro prima proprietà custodita gelosamente, poi fardello ingombrante di cui liberarsi, assieme a Thiago, poi cadavere nascosto per girare il video dell’appartamento vuoto mandato all’amante poco dopo il delitto, spostato nella vasca da bagno, chiuso in un sacco, portato giù per le scale, buttato tra le foglie dietro a un garage, a 500 metri da casa. Tutti passaggi ricostruiti davanti agli inquirenti senza segni di pentimento, o di rammarico.
Un orrore in cui il ruolo dell’altra donna – capace prima di rendersi conto di quanto stesse accadendo, poi preoccupata per quello che poteva essere successo alla sua “rivale” e infine fautrice della scoperta del delitto – è solo una piccola consolazione: «È la solitudine e l’invisibilità delle donne come Giulia che fa più male – ragiona sconfortata Ilaria Baldini –. È il fatto che non ci si sia accorti di quello che le stava accadendo, per poi magari giudicarla ingenua o sprovveduta, che ci deve far capire il pezzo di strada da compiere per sconfiggere la violenza e non lasciare le donne sole. A loro, alle donne, ripetiamo ancora una volta che una rete esiste e può accoglierle, che rivolgersi a qualcuno per chiedere aiuto non significa dover fare delle cose che non vogliono, o che hanno paura di fare, ma diventare libere di scegliere per se stesse e per i propri figli». Per fortuna tante storie hanno un lieto fine «ed è quello a cui guardare anche oggi». Anche se per Giulia e Thiago non c’è stato.
L'hashtag #losapevamotutte
Intanto è proprio sui social che si solleva l'indignazione per quanto accaduto a Senago: #losapevamotutte è l'hashtag di tendenza in queste ore su Twitter per l'ennesimo femminicidio. I pensieri, la rabbia, il dolore, l'amarezza espressi in quasi 5mila tweet si intrecciano anche con un altro caso di cronaca, ancora più recente, l'omicidio di Pier Paola Romana, la poliziotta uccisa a Roma da un collega che si è poi suicidato. A spiegare il senso della mobilitazione una delle tante utenti: «Avevamo capito che: non si era allontana da sola, era stato lui, era già morta. Lui aveva simulato la fuga con messaggi, soldi passaporto. Questa splendida ragazza ed il suo bimbo non avranno giustizia. Sappiamo anche questo». Tra coloro che scrivono c'è anche chi Giulia forse l'aveva incrociata: «Aveva frequentato la mia stessa università, l'Orientale di Napoli. Adesso quando percorrerò quei corridoi un mio pensiero andrà a te e al tuo bambino. Due vite strappate. Cara Giulia, riposa il pace accanto al tuo bimbo». Sono tanti anche i nomi noti che lasciano un'amara riflessione come la giornalista Myrta Merlino: «Cambiano le città, i nomi. Ma, ogni volta, ripetiamo lo stesso sfogo, per ogni drammatico epilogo. Conosciamo i meccanismi, denunciamo le violenze, ma nulla cambia. E tutto si consuma sulla pelle e col sangue delle donne. Dire basta non basta più».