Dibattito. Giulia e i verbali dell'omicidio: quell'orrore di cui possiamo fare a meno
Giulia Cecchettin un una foto tratta da Instagram
Le parole più sagge, ancora una volta, sono arrivate dall'entourage della famiglia Cecchettin: «Non ci interessano gli scoop, ma che sia fatta giustizia per Giulia». Una risposta pacata alla pubblicazione, su tutti i siti di informazione, Tg e trasmissioni televisive, dei verbali, in molti tratti choccanti, degli interrogatori del presunto (fino a sentenza) assassino, Filippo Turetta. Il primo ad averli diffusi "in esclusiva", venerdì sera, il programma "Quarto Grado" di Rete4: successivamente per buona parte della giornata di sabato i principali siti aprivano con titoli come "L'ho uccisa guardandola negli occhi", o "Le ho dato 12 o 13 coltellate" oppure ancora "Voleva vivere senza di me". E questi sono solo i titoli, già epurati dalle parti più drammatiche: il contenuto degli articoli è ancora più agghiacciante, con i particolari più millesimali del terribile omicidio che ha scosso tutta l'Italia a metà di novembre 2023.
Avvenire ha preferito non pubblicare nessuna parte di quei verbali, per una serie di ragioni. La prima è una domanda: cosa aggiungono certi particolari macabri alla conoscenza comune del dramma che si è consumato nell'immediata periferia di Padova? Nulla, se non orrore fine a se stesso.
Si potrebbe dire che le parole del giovane confermano ciò che peraltro si era diagnosticato nell'immediato: il femminicidio di Giulia, come tutti i femminicidi (anche i due commessi ieri, venerdì 21 giugno, due in un giorno solo: ad Arezzo e Cagliari), è il frutto avvelenato della cultura maschile del possesso, del patriarcato che spunta anche laddove non ce lo si aspetterebbe. Ma se questo è vero, è altrettanto vero che pubblicando i verbali, cioè la voce del presunto killer, si oscura ancora una volta lei, la vittima, la povera Giulia. "Mi aveva detto che ero possessivo, che non voleva stare più con me": quanti di coloro che leggono questi titoli ad effetto, in un piccolo retrobottega della mente coltiveranno il pensiero che in fondo lei è stata un po' crudele con il ragazzo che aveva smesso di amare? Speriamo in pochi, ma non ci abbandona il pensiero che amplificare l'orrore non abbia alcun un effetto "educativo", e che anzi al contrario privi ancora e ancora la povera Giulia di voce, di concretezza, addirittura di umanità, per ridurla sempre e solo a vittima. Proprio l'operazione opposta a quella portata avanti dalla famiglia Cecchettin, e in particolare dal padre Gino, che nel suo libro "Cara Giulia, quello che ho imparato da mia figlia" ha onorato la memoria di Giulia così com'era, e non come Filippo Turetta l'ha fatta diventare: una ragazza con progetti, sogni, gioie, dolori, emblema e paradigma della sua generazione di giovani donne libere, con lo sguardo rivolto avanti.
Infine, c'è un altro motivo, e riguarda appunto la famiglia: ogni singola parola di Turetta rilanciata milioni di volte sul web è una coltellata di pari violenza a quelle inflitte a Giulia. Il racconto particolareggiato dello sfregio di un corpo trova giusta dimora in un verbale di interrogatorio, nelle aule di un tribunale, nello studio di un avvocato, ma non nella superficialità del web, nella curiosità di chi vuole provare un brivido scorrendo le news sul cellulare, e poi avanti la prossima. No, l'agonia di Giulia e quello che lei ha rappresentato per tutta l'Italia - ricordiamo il milione di persone, ragazzi e ragazze, uomini e donne, scese nelle piazze d'Italia per gridare basta violenza - , vale molto di più che alimentare la curiosità collettiva.