Governo. La “telenovela” al ministero della Cultura. Ora anche Giuli pensa di lasciare
Il ministro Giuli
La vicenda Giuli-Spano sembra una telenovela senza fine. Con dichiarazioni ufficiali. Con retroscena. Con interviste. Con parole sussurrate. Con sospetti e veleni. Dopo il passo indietro del capo di Gabinetto è il neo ministro della Cultura a voler lasciare. Ripete nelle conversazioni più private sempre le stesse due parole: mi dimetto. Ce l'ha con quello che lontano dai taccuini dei cronisti definisce il "fuoco amico". Ce l'ha con un pezzo di Fratelli d'Italia che ha "manovrato" per costringere Spano a lasciare. Meloni si muove subito. Lo chiama e lo blocca. Teme un effetto domino. Teme che il suo governo possa finire fuori controllo. Una mossa obbligata, ma dettata più dalla paura che dalla certezza che Giuli sia davvero una risorsa. A Palazzo Chigi cresce la tensione. Non si capisce cosa ci sia dietro la vicenda Giuli-Spano. Si temono nuove rivelazioni. E intanto l'ex capo di Gabinetto della Cultura si sfoga e punge Fratelli d'Italia: «Ho visto attacchi vili alla mia vita privata, sono vittima della destra omofoba». E ancora: «Il contratto a mio marito non l'ho firmato io, lui era al Maxxi da prima di me. Il finanziamento all'associazione Lgbtq? Ho la casella giudiziaria immacolata sono finito in un tritacarne».
Questa è la cronaca delle ultime ore. Molto è già sui siti e sui giornali. Non c'è solo la vicenda Spano. A poche ore dalle dimissioni del capo di gabinetto del ministero della Cultura, rimasto in carica solo nove giorni e poi travolto dalle anticipazioni di Report su un suo presunto conflitto di interesse al Maxxi, il giornalista tv Sigfrido Ranucci annuncia un altro caso simile al caso Boccia che chiama in causa un «ruolo che ha avuto anche Giuli». Basta questo per far crescere la fibrillazione all'interno di Fratelli d'Italia, che in parte aveva mal digerito la nomina di Spano, fortemente voluto al suo fianco dal neo ministro ma considerato vicino agli ambienti progressisti e alla comunità Lgbtq.
Un «nervosismo» ammesso dalla stessa premier Meloni. «Legittimo chiacchiericcio mediatico, ampiamente sopravvalutato», taglia corto Giuli, intercettato dai cronisti dopo un nuovo, dotto intervento alla presentazione della rivista della Biennale di Venezia. E assicura di sentirsi «sostenuto dalla maggioranza». Ma Ranucci insiste: «Dopo quello che mostreremo qualcuno che non lo ama in FdI può trarne forza. Il problema è: in base a quali requisiti Giuli è stato nominato ministro? Mostreremo alcune cose che ha fatto in passato, come ha gestito il Maxxi e il suo ruolo in questo secondo caso Boccia».
Il caso Giuli, ora dopo ora, si arricchisce di particolari. Nel mirino del programma di Rai3 sarebbero finite anche l'amministrazione del Maxxi e la gestione politica dell'attesa mostra sul Futurismo, che vedrebbe in campo alcune chat di colonnelli FdI. La mostra della discordia, annunciata da Sangiuliano come grande evento a 115 anni dalla pubblicazione del Manifesto di Marinetti, ma finita al centro di polemiche e ora in programma alla Galleria nazionale di arte moderna di Roma dal 2 dicembre. Quanto al Maxxi, Report anticipa sui social una clip in cui si punta il dito sul calo degli incassi dei biglietti (da 2,5 milioni del 2022 a 1,9 milioni del 2023) e delle sponsorizzazioni (da 1,2 milioni a 600mila euro) durante la presidenza Giuli.
Una brutta telenovela. Giuli che inizialmente diceva di contare sul sostegno del governo ora ha qualche dubbio. È stanco. Stordito. Sfiduciato. Pensa di mollare e viene stoppato. All'improvviso la linea di Meloni è mettere la sordina alle polemiche. Bloccare gli attacchi a Giuli. Fazzolari, ascoltato e potente sottosegretario, parla per tutti: «Leggo ricostruzioni del tutto inventate sul mio conto. Non c'è nessuno scontro tra me e il ministro Giuli. Io e Alessandro Giuli ci conosciamo da più di trent'anni anni, è una persona che stimo e della quale appezzo la grande professionalità. Gli attacchi scomposti che gli sono stati rivolti da quando è diventato ministro sono sconcertanti e fanno ben capire quanti interessi abbia da difendere la sinistra all'interno del ministero della Cultura».