Confronto sì, ma senza veleni, nel rispetto della corretta dialettica fra poteri dello Stato. Dopo le scintille dei giorni scorsi, rinfocolate da un’intervista del consigliere del Csm Piergiorgio Morosini (poi seccamente smentita dall’interessato) fra toghe e politica l’intenzione pare quella di rasserenare il clima per tornare sui binari di un costruttivo dialogo 'istituzionale' sul merito dei problemi della giustizia. A favorire un riavvicinamento contribuisce la girandola di incontri istituzionali in corso, con la nuova giunta dell’Associazione nazionale magistrati, presieduta da Piercamillo Davigo, impegnata nel rituale 'giro' di presentazioni alle massime cariche dello Stato. Dal Colle, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che presiede il Consiglio superiore della magistratura, osserva l’evolversi della situazione: ieri mattina ha ricevuto il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini. Sui contenuti dell’incontro c’è il consueto riserbo, ma è presumibile che Legnini abbia fatto il punto sul caso Morosini, non nascondendo la propria preoccupazione per la situazione di tensione al capo dello Stato, che l’avrebbe incoraggiato ad adottare le iniziative necessarie a ripristinare un clima di collaborazione istituzionale. Proprio Mattarella nelle scorse settimane aveva ricordato ai magistrati come «gli ambiti di spettanza dei diversi poteri non devono essere fortilizi da contrapporre gli uni agli altri. Vanno rispettati i confini delle proprie attribuzioni, senza cedere alla tentazione di sottrarre spazi di competenza a chi ne ha titolo in base alla Costituzione». Ieri, il presidente del Senato Pietro Grasso (che, secondo fonti parlamentati, nei giorni scorsi si sarebbe confrontato col Quirinale) si è rivolto agli ex colleghi in toga: pur riconoscendo che «i magistrati debbono poter esprimere le proprie opinioni su un tema fondamentale quale la Costituzione», Grasso ricorda come non sia opportuno «confondere le due attività. Io ho fatto una scelta di cambiare, dando le dimissioni dalla magistratura e ora sono in politica. La magistratura è una funzione importante, che poi però deve lasciare il posto alla politica». Sul versante opposto, a lanciare segnali di pace era stata la stessa Anm, con la nota stampa di venerdì in cui la giunta prendeva le distanze dalle presunte affermazioni («Renzi va fermato») attribuite dal
Foglio a Morosini, definendole «inopportune e ingiustificate» al punto da incidere «sul leale rapporto tra i poteri e gli organi dello Stato». Un invito alla ponderazione apprezzato sia dal ministro della Giustizia Andrea Orlando che dallo stesso Legnini, impegnati a mediare, con l’autorevole avallo del Colle, per ricucire lo strappo fra toghe e politica. Oggi, la nuova giunta dell’Anm avrà con entrambi un momento di confronto: alle 15, col Guardasigilli in via Arenula e alle 18.30 a Palazzo dei Marescialli con Legnini. Non è ancora chiaro se ai due incontri seguiranno dichiarazioni ufficiali. Ma se dovesse accadere, è presumibile che il tono non sarà bellicoso. Giovedì, poi, l’Anm vedrà il presidente Grasso al Senato e infine, il 30 maggio, il cerchio degli incontri si chiuderà con la salita al Quirinale dal capo dello Stato. Nel frattempo, il settore Giustizia resta agitato. Il disegno di legge sul processo penale, con l’ipotesi di prescrizione 'lunga' (fino a 21 anni e 9 mesi per corruzione) scontenta pure gli avvocati penalisti. E fra gli stessi magistrati, si rivendica la libertà, iscritta nella Carta, di poter dire la propria, in quanto cittadini, in materia di riforme, anche quelle costituzionali. Lo fa notare, pacatamente, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti: «L’autonomia dei magistrati sta scritta in Costituzione, parliamo di autonomia ed indipendenza. L’articolo 21 garantisce la libertà di esprimere le nostre opinioni».