Giovani per la pace . Roma: «Siamo cresciuti senza guerra, vogliamo anche invecchiarci»
Migliaia di ragazzi in piazza a Roma contro la guerra in Ucraina. Il movimento giovanile della Comunità di Sant'Egidio, che da vent'anni ha scelto di chiamarsi Giovani per la pace, non poteva non mobilitarsi. Dopo la manifestazione al Pantheon il 16 febbraio e a piazza Santi Apostoli il 18, prima che si scatenasse l'offensiva, Sant'Egidio chiama a raccolta la generazione di chi la guerra non l'ha mai vista in Europa. Nemmeno quella degli anni '90 in ex Jugoslavia. Appuntamento stamattina per l'assemblea al teatro Brancaccio, che si riempie in ogni fila; 1.600 posti a sedere, ma molti assieme ai loro insegnanti sono in piedi.
Sul palco si alternano i ragazzi e i "grandi". Mario Giro, ex-viceministro degli Esteri, punta il dito «contro i nazionalismi e i sovranismi che in questi anni hanno avvelenato l'Europa, e qualcuno lo ha fatto per calcolo elettorale». Invita anche a diffidare di chi dà sempre la colpa ad altri: «Mai fidarsi di chi si sente sempre vittima di qualcuno». Meno che mai di chi, come Putin, «accusa l'Ucraina di averli aggrediti». Ma ce l'ha anche con «l'incomunicabilità tra le diplomazie»: «È dal 2008 - dice - che la Russia chiedeva di prendere in considerazione le sue paure, vere o strumentali che siamo. Giro poi plaude all'apertura dei paesi verso i profughi ucraini, «anche se potevano pensarci prima, con gli afghani e i siriani». Ribadisce la richiesta lanciata dal fondatore di Sant'Egidio, Andrea Riccardi di dare a Kiev lo status di "città aperta" per evitare che diventi una nuova Sarajevo o una nuova Aleppo. E chiarisce: «Noi siamo solo dalla parte della pace, anche accettando di perdere qualcosa. Perché non esiste la guerra giusta: elimina molto meno malvagi di quanti ne produce».
«La guerra non la vogliono né i giovani ucraini né i giovani russi - dice dal palco Maria di Giovani per la pace - e non la vuole la Terra, già devastata dal riscaldamento globale, che ne uscirebbe ancora peggio». Poi tutti in platea accendono la luce dei telefonini, come si faceva una volta con gli accendini ai concerti rock, «per illuminare il buio della guerra». Ora tutti fuori dal Brancaccio, il teatro dove nel 1968 si esibì Jimi Hendrix, che contro la guerra in Vietnam distorceva con la chitarra l'inno americano. Cinquantaquattro e sembra di essere tornati al via.
Piazza Vittorio, cuore dell'Esquilino, il quartiere multietnico della Capitale, è a pochi passi. I quasi duemila ragazzi del teatro si uniscono ad altri studenti che li attendono nei giardini per un grande flash-mob collettivo. Da qui i ragazzi lanciano la proposta di proposta a tutti gli italiani che vogliono esprimere il loro dissenso contro la guerra: indossare un foulard, un fazzoletto bianco da mettere, al collo, nel taschino, intorno alla borsa, purchè visibile. Dal palco parla Melissa, studentessa siriana arrivata in Italia con i corridoi umanitari quattro anni fa. «Io ad Homs - dice - ho visto cose orribili. La vita non valeva niente. Il mio vicino fu tagliato a pezzi e messo in un sacco dell'immondizia. Abbiamo vissuti abbracciati alla morte. La guerra riempie i cuori di odio. Ho temuto che mio cugino dovesse imbracciare il fucile. Ma vi dico che non ho ancora perso la speranza. Tutto quello che chiedo è di dare una possibilità alla pace». All we are saying, is give peace a chance, cantano i ragazzi battendo il ritmo con le mani.
Poi prende il microfono una susentessa ucraina, Halyna del liceo Russel: «Mentre vi parlo, mio padre sta lottando per la libertà del mio paese. Non riesco a credere che nel 2022 potessi ricevere sul telefono un messaggi dai miei familiari che diceva "qui è scoppiata la guerra". Non riesco a trattenere le lacrime quando vedo gli uomini lasciare le famiglie. E vi dico che i giovani russi sono giovani come noi, che non meritavano di morire. C'è un paese aggredito e c'è un aggressore, ma alla fine non ci sarà nessun vincitore. Gloria all'Ucraina e viva la pace!»