Attualità

L'ITALIA ALLA RISCOSSA / 2. Giovani anticrisi Il ritorno nei campi

Pietro Saccò lunedì 6 agosto 2012
​Altro che "braccia rubate all’agricoltura". I campi non sono più, se mai lo sono stati, il posto consigliato a un giovane non portato per i lavori cosiddetti "intellettuali". Al contrario, l’agricoltura chiede a chi oggi la sceglie come mestiere un impegno di studio e una capacità di innovazione non comuni. Sono un posto da "duri", i campi; quello del contadino è un lavoro per gente che ha voglia di impegnarsi, è disposta a rischiare e poco si preoccupa della "considerazione sociale" (lavorare in un call center, nella cultura dei ventenni e trentenni, è molto più "cool" che badare a 20 ettari di terreno).È difficile, e infatti in Italia ci provano in pochi. Il nostro Paese, calcola l’Eurostat in uno studio diffuso a giugno e basato su dati del 2007, è una delle nazioni europee più povere di giovani contadini. Ha meno di 35 anni solo il 2,9% degli agricoltori, mentre il 68% ha più di 55 anni. Il rapporto tra giovani e vecchi, nei campi italiani, è quindi di 1 ogni 25. Va peggio che da noi solo in Portogallo e a Cipro. Nella zona euro la quota di contadini giovani è al 5%, in Francia e Germania è vicina all’8%. Il ricambio generazionale, se la tendenza non cambierà, è assente.L’alimentare, primo settore manifatturiero italiano, rischia di rimanere senza il suo "cuore" agricolo. Si può sperare che questo non accada. L’Istat ha da poco completato il suo 7° censimento sull’agricoltura italiana, ottenuto da rilevazioni del 2010, e ha trovato in Italia 82.111 contadini che hanno meno di 35 anni. Sono il 5% del totale e sono 30 mila in più rispetto alle rilevazioni del 2007. Se si aggiungono quelli che hanno meno di 40 anni si arriva a 161 mila agricoltori, il 10%. Una forza giovane che può rilanciare un settore da salvare. Anche con qualche aiuto.L’Europa, che ha basato sul ricambio generazionale nell’agricoltura il suo piano di Sviluppo Rurale 2014-2020, mette a disposizione in media 13 miliardi all’anno e scommette sui giovani per «mantenere disponibile la produzione di cibo e migliorare la competitività del settore». Il governo Monti ha inserito nel decreto liberalizzazioni la possibilità, per gli agricoltori che hanno meno di 35 ann, di comprare o affittare i terreni agricoli pubblici ceduti dallo Stato, con diritto di prelazione. Si tratta di 338mila ettari di terra che aspettano imprenditori-contadini volenterosi. Può essere la volta buona in cui sono i campi a "rubare braccia" giovani oggi troppo impegnate nel mandare curriculum vitae ad aziende che li mettono in archivio in attesa di tempi migliori. Luca (Lazio)«È stato il mio sogno fin da bambinoUn'occasione e mi sono lanciatoQuando era piccolo Luca Mattozzi voleva fare il contadino. Fantasie da bambino, avranno pensato i suoi. Il papà è medico, la mamma casalinga, per loro figlio avevano in mente un futuro più in giacca e cravatta che sul trattore. Finite le superiori Luca si è iscritto a Sociologia e sembrava diretto verso una vita diversa da quella delle campagne. È andata diversamente. In questi giorni Luca, che ha 33 anni, si alza all’alba e va all’orto a raccogliere, mentre nei fine settimana è a Roma, al mercato Campagna Amica al Circo Massimo, a vendere i suoi ortaggi, il suo olio e le sue erbe aromatiche "dimenticate". Vende raperonzoli, borragine e pimpinelle, roba che i suoi coetanei non sanno nemmeno che esiste. «Nel 2008 ho ereditato un appartamento di mia nonna. Stavo per finire sociologia, mi mancava praticamente solo la tesi. Ma la passione per la campagna mi era rimasta e ho capito che non potevo perdermi l’occasione di provarci davvero» racconta Mattozzi, che in quel 2008 ha venduto l’appartamento della nonna e con i 140 mila euro incassati si è comprato 10 ettari di terra a Fara in Sabina, nelle campagne tra Roma e Rieti.Una volta realizzato, però, il sogno bucolico rischiava di diventare un incubo. «Con mia moglie Elisabetta (che si è laureata in Sociologia e adesso lavora con lui, ndr), ci siamo messi a studiare le coltivazioni, ma era dura. Io andavo a lavorare all’alba e finivo di notte. Le prime volte è tutto nuovo, affascinante, ma dopo qualche settimana questa vita è sfiancante. La sera finivo che ero distrutto e anche economicamente i risultati erano pessimi». Tra l’altro c’era già una bambina da crescere, che oggi ha 13 anni. Nelle nottate che lo lasciavano senza energie Luca a volte pregava, chiedeva a Dio la forza che serve a non mollare. Oggi può raccontare che non ha mollato, che i campi insegnano e che, col tempo, si lasciano prendere le misure. «Con l’esperienza ho imparato a gestire meglio i tempi di lavoro, a non disperdere energie. Lavoro sempre tanto, ma meno che agli inizi, e in più adesso guadagno anche bene» spiega questo giovane contadino che si sta facendo sempre più imprenditore.La svolta è arrivata soprattutto grazie all’incontro con Coldiretti. «Sono nati i mercati di Campagna Amica, quelli dove i produttori vendono direttamente ai consumatori. Mi hanno permesso di rivolgermi a un pubblico molto più ampio, che si aggiunge a quello della mia bancarella di Rieti, dove ho ormai i miei "vecchi" clienti». All’interno di Campagna amica al Circo Massimo, Luca ha avviato, in società con altri due ragazzi, un’enoteca. I tre contano di riuscire presto ad aprire anche una "bottega alimentare" nel centro di Roma, sfruttando i finanziamenti agevolati previsti per i giovani agricoltori da Cariparma Crédit Agricole. Il progetto è allargare questo tipo di attività. «Il mercato della distribuzione diretta dell’alimentare a chilometri zero e dei prodotti di nicchia si sta facendo molto interessante» spiega Mattozzi. Gli amici che hanno fatto scelte di vita diverse vedono l’esperienza di Luca e iniziano a fare domande sempre più specifiche. «Con la crisi tanti perdono il lavoro o non riescono a trovarlo. Si informano perché iniziano a considerare la possibilità di mettersi in proprio e andare nei campi. Io gli dico che si può fare, ma bisogna essere determinati, altrimenti dopo un mese uno molla tutto». Perché comunque la vita del contadino non è per tutti. «Il mio lavoro ti chiede tanti sacrifici. Io però nemmeno ci penso, non li vedo come rinunce: lavoro la terra, ho la fortuna di fare quello che amo». Stefano (Lombardia)«Da studente a viticoltore quasi per casoMa ora i miei amici un po' mi invidianoStefano Ravizza ti avverte subito: «Non sono nato a pane e uva. Mio padre faceva il dirigente di un’azienda alimentare nel piacentino, mia mamma era nella sanità. Io finito il liceo scientifico volevo studiare diritto internazionale». Invece Ravizza all’università ha studiato "Enologia e viticultura" e adesso, a 28 anni, è il titolare de «Il Torrino», l’azienda agricola di famiglia che produce vini nelle campagna di Stradella nell’Oltrepò pavese. Un’azienda che in qualche modo gli è "capitata". «Nel 2004 i miei hanno deciso di cambiare vita, hanno venduto la casa dove abitavamo e hanno comprato questa proprietà, con un paio di ettari di terra. Mio padre aveva deciso di mettersi in proprio, ma poco dopo l’avvio dell’attività si è ammalato di cancro. Doveva curarsi, non aveva l’energia che richiede un lavoro come questo. E così è arrivato il mio turno» racconta Ravizza, che a vent’anni si è dovuto improvvisare agricoltore e si è messo a studiare.Ha trovato chi era disposto ad aiutarlo. Ha imparato a fare le vendemmie e le potature lavorando nel podere a fianco a quello comprato dalla sua famiglia, gli stage organizzati dall’università ("che è stata utile, anche se fa sempre fatica ad avvicinare gli studendi al mondo del lavoro) hanno fatto il resto. Da contadino "acerbo" Ravizza è diventato "manager agricolo" competente e si occupa della vinificazione e delle vendite per la sua società, dove lavora il resto della sua famiglia: «Mia sorella fa il confezionamento dei prodotti, mio papà, che è guarito, si occupa della parte agricola, mia mamma della parte amministrativa. I nostri clienti sono soprattutto consumatori privati che ci conoscono in giro per le fiere o con il passaparola».Arrivato all’agricoltura quasi per forza, Stefano ha superato le difficoltà iniziali («non sapevo nulla quando ho iniziato, era veramente dura») e scoperto una enorme passione per i campi. «Noi vendiamo bottiglie di Barbera, Croatina, Riesling... ma dentro c’è la storia del nostro territorio e una tradizione che si tramanda da secoli. Essere i giovani eredi di questa tradizione è qualcosa che ti responsabilizza e ti dà soddisfazioni difficili da spiegare» spiega, insistendo sull’etica della responsabilità che implica il lavoro agricolo: «Noi agricoltori vendiamo cose che si mangiano (o si bevono), questo significa che ci sono esigenze di qualità, tracciabilità e sicurezza molto elevate. Ci mettiamo la faccia sui nostri prodotti, non si sfugge. In altri settori, come quello della finanza, questa etica è mancata. Io penso che l’agricoltura, sicuramente più della finanza ma probabilmente anche più dell’industria, ha un patrimonio di valori e di responsabilità che può aiutare l’Italia a ripartire».Le teorie che argomenta lo tradiscono: Ravizza non è l’agricoltore che bada al suo orticello. È attivo nella Coldiretti, l’associazione che agli inizi lo ha aiutato a trovare i finanziamenti giusti e a superare quella barriera di burocrazia che si para davanti ai giovani aspiranti imprenditori. Nei Giovani di Coldiretti è delegato per la Lombardia e fa parte del direttivo nazionanale. «Da dentro l’associazione si vede chiaramente come in un settore vecchio come quello dell’agricoltura ci sia negli ultimi tempi un sorprendente dinamismo giovanile. Sono tanti i ragazzi che si stanno avvicinando alla professione agricola partendo da zero, con uno o due ettari in affitto per piccole produzioni. Il problema è che servono aiuti e garanzie, perché se nessuno ti dà sostegno quando avvii l’attività sei più precario di un co.co.co...». Hanno contratti co.co.co o simili molti degli coetanei di questo giovane agricoltore. I suoi compagni di liceo, racconta lui, fanno fatica a trovare lavoro, anche quelli con titoli preziosi, ad esempio gli ingegneri, hanno stipendi e contratti poco generosi.Il lavoro dipendente oggi raramente regala soddisfazioni. Per questo i campi si fanno interessanti. «Quando vengono a trovarmi qui in campagna i miei amici spesso confessano che sono invidiosi. Gli piace la qualità della vita garantita da questo lavoro e la libertà del lavoro in proprio. Certo, non vedono le difficoltà, la fatica fisica che si fa sentire e le sveglie all’alba nel periodo della vendemmia». Ma forse anche se le vedessero non si spaventerebbero. «Quando ti alzi alle sei e vai nella vigna, e lì ci siete solo tu e le viti, allora pensi che non cambieresti questo lavoro con nessun altro».