I grandi malati non danno segni di miglioramento e anche i medici stanno cominciando a perdere le speranze. Da oltre un secolo sotto osservazione da parte degli esperti del Comitato glaciologico italiano – fondato nel 1915 da una costola della Commissione glaciologica del Club alpino italiano, risalente al 1895 – i ghiacciai italiani continuano a dare importanti segnali di sofferenza e nemmeno le nevicate degli ultimi anni, più abbondanti rispetto al recente passato, sono riuscite a invertire la tendenza all’arretramento, che prosegue senza sosta. «I ghiacciai riducono la loro estensione e il loro volume sulle Alpi come in Antartide e questo rappresenta un’inequivocabile evidenza del riscaldamento climatico cui stiamo assistendo da tempo», spiega Guglielmina Diolaiuti, ricercatrice del Dipartimento Scienze della Terra dell’Università Statale di Milano e già membro del Comitato scientifico centrale del Club alpino italiano, organo tecnico che si occupa di coordinare e realizzare ricerche scientifiche sull’ambiente montano.Se consideriamo le Alpi e l’Europa, le tendenze in atto, rileva la ricercatrice italiana, non sono positive per il glacialismo: la quasi totalità delle regioni glacializzate europee mostrano chiare evidenze di regresso. Secondo il report 2004 dell’Agenzia ambientale europea, infatti, tra il 1850 ed il 1980 i ghiacciai delle Alpi europee hanno perso circa un terzo della loro superficie e circa metà della loro massa e dal 1980 a oggi un altro 20-30% del ghiaccio totale è andato incontro a fusione. Circa il 10% del glacialismo alpino sarebbe poi andato perso durante la sola stagione estiva 2003, che come tutti ben ricordano, ha visto un’eccezionale ondata di calore colpire buona parte dell’Europa. «Se queste tendenze si confermeranno anche per il prossimo futuro – avverte la dottoressa Diolaiuti – entro il 2050 molti ghiacciai delle Alpi (soprattutto quelli di dimensioni inferiori al chilometro quadrato, che rappresentano l’88% dei ghiacciai italiani) potrebbero estinguersi».In Italia, secondo l’ultimo catasto glaciologico della fine degli anni 80, ci sono 807 ghiacciai estesi su 482 chilometri quadrati; di questi, 706 sono riconosciuti come apparati glaciali veri e propri e 101 come “glacionevati”, forme residuali senza chiare evidenze dinamiche che preludono alla loro estinzione. Rispetto al catasto precedente, risalente agli anni 60, si evidenzia un netto arretramento, sia in termini di numero dei ghiacciai (838, dei quali 745 ghiacciai veri e propri e 93 “glacionevati”), che di superficie occupata (525 chilometri quadrati).«Il confronto tra i due inventari glaciali – sottolinea Diolaiuti – permette di quantificare la contrazione areale, avvenuta in poco meno di un trentennio, in circa 43 chilometri quadrati e la riduzione di 32 unità dei ghiacciai veri e propri. Parallelamente si assiste anche ad un aumento degli apparati classificati come “glacionevati”, preludio di una successiva estinzione».Ipotesi, quest’ultima, che, come si è visto, potrebbe addirittura verificarsi, per un buon numero di ghiacciai, addirittura entro la metà di questo secolo. Uno scenario che avrebbe pesanti ripercussioni non soltanto sull’ambiente ma anche sulle popolazioni di montagna.«I ghiacciai non polari – ricorda la dottoressa Diolaiuti – non rappresentano solo una risorsa di acqua dolce ma sono anche un elemento caratterizzante dell’ambiente e del paesaggio, un simbolo per le popolazioni locali ed un polo di attrazione per turisti ed alpinisti. La loro riduzione o scomparsa – prosegue – comporterebbero, da un lato, una riduzione del valore estetico delle aree interessate e, dall’altro, una diversa percezione del proprio territorio e del proprio ambiente da parte delle popolazioni locali».I ghiacciai alpini rappresentano un’importante riserva la cui estinzione provocherebbe grossi problemi di approvvigionamento idrico alle popolazioni che vivono nelle vallate. Anche il delicato ecosistema alpino sarebbe sconvolto dalla scomparsa dei ghiacci perenni e questo potrebbe provocare l’estinzione di specie animali e vegetali. Un vero e proprio sconvolgimento per territori che sono da sempre considerati “beni ambientali” di notevole valore.Per questo motivo, sottolinea nuovamente la ricercatrice dell’Università Statale di Milano, «è importante non solo approfondire le conoscenze sui processi naturali in atto e sui loro effetti ambientali (cambiamento climatico e deglaciazione) ma anche predisporre strategie di adattamento culturale, ovvero di preparazione culturale della popolazione residente ai cambiamenti ambientali in atto ed attesi, per affrontare questa sfida del reale con gli strumenti per comprenderla, accettarla e apprezzare una natura diversa ma non necessariamente meno affascinante».