Attualità

Il reportage. Genova, cinema e musica contro il degrado

Marco Birolini, inviato a Genova lunedì 22 luglio 2024

Una panoramica del quartiere Diamante di Begato

Le “Dighe” sono crollate due anni fa, ma il quartiere Diamante – nome che meno azzeccato non si può – rimane lontanissimo dal concetto di gioiello urbanistico. Attorno al ground zero lasciato dalla demolizione del mostro di cemento di 521 appartamenti, figlio dell’edilizia popolare anni ’70, la vita quotidiana di Begato continua a scorrere tra le fatiche di sempre. Alle 9 di un afoso mattino di luglio il signor Carmelo passeggia in via Cechov con il suo cane, sotto l’ultimo troncone dell’immane muraglia che sbarrava le colline. «Non è cambiato nulla – dice – è lo stesso schifo di prima. Quando sono arrivato qui, 32 anni fa, si viveva bene: tra vicini si andava d’accordo, ci si aiutava. Adesso è impossibile. Non fai in tempo a morire che ti occupano la casa: nell’appartamento accanto al mio, alcune sere fa, è scoppiata una lite furiosa tra gente che voleva prenderselo per poi affittarlo abusivamente. C’è da aver paura. Vorrei andarmene, ma ho perso il lavoro e non posso permettermelo».

Lo scenario è opprimente. Sembra di muoversi tra le rovine di un carcere di massima sicurezza, che incombe sulla Valpolcevera e su tante esistenze difficili che fanno i conti con miseria, dipendenze, problemi con la giustizia. Per decenni le hanno concentrate qui, in 2 km quadrati, sommando disagio al disagio. Nonostante manchi tutto – l’unico esercizio commerciale è il discount ai piedi della collina - il signor Carmelo sembra però tra i pochi a voler traslocare altrove. Dei 766 residenti delle Dighe “riallocati” in altri alloggi popolari, il 45% ha scelto di restare a vivere a Begato. Forse perché tra le alternative c’era il trasferimento al Cep di Prà, altra periferia genovese dimenticata. Tra chi ha dovuto lasciare la propria casa ci sono molti anziani. A Begato sono tantissimi: 320 ogni 100 bambini, per un indice di vecchiaia tra i più alti in Italia. Di contro, gli under 24 non superano il 17% della popolazione: più di uno su cinque non è andato oltre la terza media, condizione che pesa sulla difficoltà di trovare un lavoro dignitoso. «Mia madre l’hanno mandata nella nuova casa – racconta un giovane mentre porta via gli ultimi mobili – io invece non so ancora dove andare. Lavoro in nero e nessuno mi dà un appartamento in affitto…».

L’emergenza sociale è figlia in buona parte di un vuoto educativo. All’istituto comprensivo Teglia provano a riempirlo quotidianamente con due strumenti: pragmatismo e progetti creativi. «Qui siamo allergici alla retorica» avverte Maria Elena Tramelli, elettrica preside-stakanov. «Dormo 4 ore a notte - sorride -, ho troppe cose cui pensare». E non potrebbe essere altrimenti «in un contesto che vede il 15% degli allievi in carico ai servizi sociali, cui si somma un 10% con disabilità. Nonostante le difficoltà, vogliamo mantenere un’offerta didattica di eccellenza». La maxi rana di peluche appollaiata sul divano del suo ufficio è la testimonial ideale di un approccio non convenzionale. «L’unico possibile con studenti e genitori spesso problematici: non danno importanza alla scuola e non si fidano delle istituzioni. Anni fa un colloquio fu sorvegliato addirittura dall’antiterrorismo», premette prima di spiegare il suo metodo. «Evitiamo le prediche e ci limitiamo a raccontare alle famiglie ciò che il figlio ha combinato in classe. Funziona quasi sempre, al punto che si crea una vera alleanza educativa con i genitori. Capita che qualcuno si senta in colpa. Mi chiedono: gli ho comprato quello che voleva, dove ho sbagliato? Forse sarebbe servito qualche no in più, rispondo io».

Denaro e consumi sono le tentazioni più facili in questa valle coperta di asfalto, dove abbondano gli ipermercati ma non esistono piazze per incontrarsi. «Il quartiere Teglia è come il Far West, perché tutto sorge attorno alla statale», osserva il professor Fabio Niccolini, braccio creativo della preside sul territorio. Nato e cresciuto in Valpolcevera, dopo anni di studi artistici e volontariato tra Madrid, Nicaragua e Nepal, ha deciso di tornare al punto di partenza «per fare qualcosa qui, tra questi ragazzi». L’Ic Teglia è un punto di riferimento per i suoi 965 alunni e le loro famiglie: l’idea è proporre una scuola che non chiude al suono della campanella. Nemmeno d’estate. Giugno si conclude con il tradizionale campus circense, mentre nelle mattine di luglio ci si aggrappa al Salvagente, il progetto pensato con l’associazione Alpim per svolgere i compiti e stare in compagnia. «Ai ragazzi più in difficoltà – dice Niccolini – offriamo percorsi di orientamento: li aiutiamo a scoprire cosa vogliono fare da grandi, per prevenire la dispersione scolastica alle superiori».

Visto da Begato, il futuro appare lontano come il mare, che per vederlo bisogna salire in cima alla collina. L’unico orizzonte che spinge gli adolescenti a guardare avanti è il campo da calcio, dove sgambettano i bambini del Genoa: «Sperano quasi tutti di diventare calciatori, per costruirsi una vita migliore» riflette Niccolini, che al sogno del pallone ha aggiunto quello della musica. In un’aula dismessa della vetusta scuola media di Begato il vulcanico prof ha ricavato uno studio di registrazione, il “Tosca Hub”, divenuto una fucina di talenti rap. «Il valore di queste attività è che ti fanno capire l’importanza di andare a scuola. Non puoi comporre una canzone se non sai l’italiano e se non conosci la metrica» spiega Niccolini. L’impatto è stato eccezionale: l’assenteismo in aula si è praticamente azzerato. Abituati fin da piccoli a vivere ai margini, i ragazzi hanno iniziato a sentirsi protagonisti. Come nel video in cui raccontano se stessi e il Diamante. Nonostante il degrado, dicono di stare bene dove stanno: il quartiere è forse l’unico luogo cui sentono di appartenere. «Cosa cambierei? C’è troppa polizia, non ce n’è bisogno: è un posto tranquillo…», dice un ragazzo, mentre un altro addirittura rimpiange le Dighe: «Ci abitavano tanti amici, che adesso se ne sono andati».

Eppure i casermoni non erano un esempio di buon vicinato: al 22esimo e ultimo piano si portavano con i montacarichi i motorini rubati, per smontarli e ricavarne pezzi di ricambio da rivendere sottobanco. Ma questo è il passato. Al posto delle Dighe sorgeranno palazzine di edilizia pubblica moderne e sostenibili, affiancate da aree verdi, teatro e presidio dei carabinieri. Il Tosca Hub, nel frattempo, sta provando a costruire una nuova narrazione del quartiere. Un “corto” degli studenti è stato premiato al Rec film festival di Rimini: «Ci hanno ospitato per 4 giorni – racconta Niccolini – i ragazzi si sono sentiti come vere star: un’esperienza unica». La trama l’ha scritta un 13enne nigeriano, Emanuel, primo della classe e amante della storia antica. Nel corto recita se stesso in lotta contro i bulli che marinano la scuola e infastidiscono le ragazze. Sul più bello, però, scoprirà che non sono così cattivi come li dipinge. Demolire i pregiudizi, ecco la nuova sfida di Begato.

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