Attualità

Gdf tra storia e futuro. «Così staniamo evasori digitali e trafficanti di criptovalute»

Vincenzo R. Spagnolo sabato 5 ottobre 2024

Un momento di un'indagine via web delle Fiamme gialle.

Un tempo, nel secolo scorso, a trasportare oltre confine mazzette di banconote di dubbia provenienza, perché provento di reati o dei profitti in "nero" di alcuni industriali, erano i cosiddetti spalloni. Figure mitiche, nel sottobosco criminale, spesso ruvidi montanari o ex guide alpine, soprannominati così perché si caricavano letteralmente a spalla, in capienti zaini, milioni e a volte miliardi delle vecchie lire e s'inerpicavano per sentieri innevati noti solo a loro, fino ad arrivare in Svizzera o in Francia. Poi fu l'epoca delle automobili con doppio fondo, usate spesso anche dai narcos e da trafficanti di preziosi. Oggi, quegli stratagemmi sono in gran parte tramontati, consegnati alle pagine polverose della cronaca giudiziaria, insieme alle vecchie stampe in cui i militari della Guardia di Finanza inseguivano e talvolta precedevano, a quegli stessi valichi di frontiera, i suddetti spalloni. Ormai, i traffici legati alle valute viaggiano sul web. La Guardia di Finanza ne ha seguito l'evoluzione e si è attrezzata per individuarli. E in questi giorni - mentre a Torino sono in corso le celebrazioni del 250° Anniversario di fondazione del corpo (con mostre, rievocazioni storiche e fanfara della banda musicale), alla presenza del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e del Comandante generale della stessa Gdf, Andrea De Gennaro - abbiamo chiesto agli investigatori delle Fiamme gialle di raccontarci come funzionano queste indagini, che sono fra le più complesse fra quelle operate da un corpo di oltre 60mila militari, proiettato costantemente fra la tradizione e il futuro.

L'opacità della galassia "cripto"

A farci da "Virgilio" nell'intricato universo sotterraneo delle indagini sui traffici con valute virtuali è il generale di brigata Luigi Vinciguerra, capo del III reparto operazioni della Guardia di Finanza e con una lunga esperienza, maturata anche all'estero presso organismi della Commissione Europea. Il punto di partenza del suo racconto vale da premessa: grazie alla tecnologia blockchain e alle sue innumerevoli applicazioni, si è generata una ricchezza intangibile di tipo virtuale, che ha favorito la nascita del mercato delle cripto-attività, caratterizzato, per lo più, da opacità e da un inquadramento giuridico complesso. Si è assistito così allo sviluppo di diversi asset digitali considerati - a seconda del contesto - come mezzi di pagamento, beni immateriali o strumenti finanziari. Strumenti che però, ed è qui il nodo, per le loro caratteristiche di pseudo-anonimato, si prestano a usi distorti per finalità illecite, anche da parte di organizzazioni criminali, mafie e narcotrafficanti compresi. Negli ultimi anni, dice ad Avvenire il generale Vinciguerra, "abbiamo registrato un notevole incremento di attività illegali nelle quali l’utilizzo delle cripto-valute ha un ruolo centrale, non solo come “mero” strumento di pagamento per l’acquisto di sostanze stupefacenti o di merce di provenienza illegale". Sono "sempre più frequenti, infatti, impieghi per finalità di riciclaggio di capitali illeciti, condotte di abusivismo finanziario, nonché illeciti di natura fiscale". Una pletora di reati sui quali diventa necessario indagare. Come? "Nell’azione di contrasto a tali manifestazioni criminose, adottiamo tre tipologie di intervento: le indagini di polizia giudiziaria, gli interventi ispettivi di prevenzione antiriciclaggio e le verifiche fiscali".

Inchieste a tappeto, da Padova a Napoli

Così, le indagini si susseguono. Nel 2023, ad esempio, un’operazione del Nucleo di Polizia economico-finanziaria Padova (con il supporto del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche) porta al sequestro della prima “azienda di produzione di valute digitali” in Italia: una struttura informatica dalle altissime prestazioni, la definiscono gli investigatori, allestita con oltre 350 schede video in grado di “coniare” nuove tipologie di cripto-valute. Poi, nel febbraio di quest'anno, sono i finanzieri di Napoli, nell’esecuzione di un’indagine a contrasto del reato di riciclaggio, a scovare una vera e propria centrale di riciclaggio internazionale, capace di movimentare "oltre 2,6 miliardi di euro", gestendo pacchetti di servizi finanziari per oltre 6mila clienti, finalizzati a delocalizzare all’estero proventi illeciti derivanti, tra l’altro, da frodi fiscali. Un gruppo criminale con un modus operandi che i finanzieri hanno ricostruito a colpi di mouse: "Costituiva società fittizie, carte di pagamento anonime, conti correnti on line, garantendo, altresì, trasporto del denaro contante e l’acquisto di cripto-valute".

I falsi broker e l'esca dei maxi rendimenti

Un'esca in voga, nelle condotte di abusivismo finanziario, è quella delle proposte di investimento in cripto-valute, avanzate da investitori improvvisati e privi delle prescritte autorizzazioni, che promettono rendimenti fuori mercato e li pubblicizzano attraverso le web community o i social network. Ad aprile di quest'anno, a Roma, la Gdf ricostruisce l'attività di un gruppo di soggetti che promuovevano in Italia e "senza i requisiti normativamente previsti" investimenti con la promessa di elevati interessi. Nell'inchiesta spunta pure una società altoatesina che ha generato una propria moneta digitale, commercializzata sul sito aziendale. E, ancorché virtuali, le cifre scovate dai finanzieri sono da capogiro: grazie anche agli specialisti del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche, viene scoperto "un wallet" (una sorta di portafogli digitale) su cui erano depositati "oltre 776 milioni di unità della nuova cripto-valuta, per un controvalore di oltre 63 milioni di euro". Denaro sottoposto a sequestro, previa conversione in moneta legale. Un mese dopo, a maggio, sono le Fiamme gialle di Parma a dare nome e cognome a un broker che, dietro la corresponsione di una commissione variabile tra il 5% e il 10%, aveva permesso a oltre 1.600 risparmiatori di investire circa 1,9 milioni di euro in cripto-valute (in particolare bitcoin). Per effettuare gli investimenti i clienti ricaricavano, in contanti, molte carte prepagate che erano nella disponibilità, anche indiretta, dello stesso indagato. Un sistema illecito favorito dalla mancata applicazione dei presidi antiriciclaggio di identificazione dei clienti, da parte di diversi esercizi convenzionati abilitati alle ricariche di carte prepagate, tanto che "molte ricariche venivano attribuite a persone decedute o a nominativi di fantasia".

Milioni (in bitcoin) da recuperare

Insomma, ogni indagine svela un mondo sommerso, in cui navigare non è semplice. E l'impressione che si ricava dai dati è che quella che affiora sia solo la punta di un gigantesco iceberg: "Solo per fornire alcuni dati sugli esiti delle nostre investigazioni - prosegue il generale Vinciguerra - complessivamente, dal gennaio 2021 al settembre 2024 abbiamo sequestrato cripto-valute, ad esempio, bitcoin, monero, ethereum, collegate per lo più a casi di riciclaggio o abusivismo finanziario, per un controvalore in euro pari ad oltre 80 milioni di euro, con la denuncia di 325 soggetti". Si tratta, aggiunge il capo del III reparto, "di un fenomeno da tempo alla nostra attenzione. Già nel 2018 sequestrammo a Firenze 167 bitcoin (pari a circa 1,2 milioni di euro), mentre la prima conversione effettuata a livello nazionale da cripto-valuta in valuta legale, per un valore complessivo di oltre 1,5 milioni di euro, finalizzata al successivo trasferimento al Fondo Unico Giustizia, è stata eseguita nel maggio del 2021 dal Nucleo Speciale Polizia Valutaria”.

Se l'influencer non paga le tasse

C'è poi un altro fronte da presidiare, non meno importante per l'Erario. L’impatto della tecnologia ha comportato effetti anche sul piano dei comportamenti evasivi, considerano i finanzieri, "in quanto il sistema di produzione di beni e servizi è condizionato da un’incessante integrazione e ibridazione tra il digitale e l’economia tradizionale". E così la Guardia di finanza si trova ora a svolgere "una costante azione di contrasto all’“evasione digitale”, in tutte le sue forme", considera Viinciguerra. Come lo fa? "Attraverso due linee d’azione: da un lato, individuando misure di pianificazione fiscale aggressiva da parte delle grandi piattaforme, dall’altro lato, scovando operatori completamente sconosciuti al Fisco che operano online vendendo i propri beni e servizi". Tra questi, spiega il generale, si trovano a volte "i cosiddetti digital creator, noti anche come influencer". Una caccia sul web che sta dando frutti: "In circa un anno e mezzo, ossia fra gennaio del 2023 e maggio del 2024 - fa sapere l'alto ufficiale - abbiamo individuato oltre mille casi di evasione fiscale internazionale, principalmente riconducibili a organizzazioni stabili e occulte, a manipolazioni dei prezzi di trasferimento, a residenze fiscali fittizie e all’illecita detenzione di capitali oltreconfine". Se pensate che per il Fisco si tratti di pochi spiccioli da recuperare e che il gioco non valga la candela, ricredetevi: il generale non fa nomi ma segnala a mo' di esempio, al termine di una singola indagine, "il recente versamento di 673 milioni operato da una piattaforma digitale che aveva omesso di dichiarare e versare le imposte dovute".

Segugi digitali al passo coi tempi

Ma come si fa a individuare, in un universo opaco che spesso può inabissarsi anche nello deep web o confondersi fra le ombre nell'oscurità del dark web, le orme lasciate da quei soggetti? Ancora una volta, pur senza rivelare i "segreti del mestiere" dei suoi uomini, è il generale Vinciguerra a darci modo di comprendere. Lo strumento "più efficace di cui il nostro Corpo dispone - osserva - è quello delle “informazioni” derivanti da sempre più affinati ed efficienti meccanismi di cooperazione internazionale e di scambio automatico". In altre parole, ragiona l'ufficiale della Gdf non senza un pizzico d'ironia, per contrastare l’evasione “tecnologicamente evoluta” è necessaria una soluzione altrettanto “digitalmente avanzata”. Una sfida alla quale il quadro di norme sovranazionali riesce a dare un sostegno: "Si pensi alle potenzialità che derivano dalla cosiddetta DAC7, la direttiva europea che impone alle piattaforme di comunicare periodicamente al Fisco i corrispettivi percepiti dai venditori attivi sui loro portali", dice il generale. Per i profani, è bene sapere che la filosofia a cui si ispira la DAC7, in pratica, è quella di trasformare i gestori delle piattaforme in veri e propri “intermediari”. Una sorta di alleati del Fisco, cui è affidata l’attività di "reporting", cioè la comunicazione alle amministrazioni fiscali di competenza dei dati relativi alle vendite realizzate dagli operatori commerciali sui loro portali. E se gli intermediari adempiono al loro dovere e informano il Fisco, diventa più semplice capire quale reale volume di incassi abbia o non abbia un certo operatore. Insomma, per illuminare la penombra di certi angoletti del web è indispensabile la luce (e la trasparenza) da parte dei provider e dei colossi delle piattaforme digitali. E se quegli angoli dovessero restare bui? Allora ci pensano i finanzieri a illuminarli, non più muniti di fiaccole e scarponi come i loro antenati che correvano dietro agli spalloni, ma di computer e server di ultima generazione, capace di competere con l'hardware dei migliori hacker.