Non è l’accordo che Washington desiderava, ma non è neanche quello che Putin sperava. L’intesa nel “Gruppo dei Sette”, per rilanciare il sostegno all’Ucraina non si fonda sulla confisca dei beni russi congelati, ma attingerà ai proventi degli asset bloccati che saranno inviati in prestito a Kiev. Il saldo disponibile ammonta a circa 50 miliardi, metà dei quali potrebbero essere raccolti dai Paesi europei. I comunicati ufficiali stabiliscono cifre e ripartizioni, ma fonti interne frenano. Un funzionario di Bruxelles, a condizione di anonimato, ha precisato che «le cifre finali dell’Europa devono ancora essere concordate». Da Mosca sono arrivate le prevedibili minacce. «La risposta della Russia sarà molto dolorosa per Bruxelles», ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova. «Le proprietà e i fondi europei in Russia, come sapete, ci sono a sufficienza e le inevitabili misure di ritorsione saranno estremamente dolorose per Bruxelles, che dovrà quindi pagare prima di tutto per la sua follia», ha rincarato.
Sebbene i Paesi occidentali abbiano congelato 300 miliardi di dollari di beni russi, al momento possono accedere solo alle entrate generate da questi fondi, circa 3,2 miliardi di dollari all’anno. Non è detto che tutto andrà liscio. «Se per un motivo o per l’altro i beni russi venissero scongelati o se i proventi di questi asset non si rivelassero sufficienti a finanziare il prestito – avverte il funzionario dell’Unione Europea –, allora dovremo considerare come condividere il carico del prestito». In altre parole, se la guerra finisse o se i proprietari di questi asset decidessero di non sostenere più Putin, verrebbero meno le ragioni che ne hanno permesso il blocco. Gli Stati Uniti avevano proposto di confiscare i beni russi, sottraendoli ai proprietari e mettendoli nella completa disponibilità dei Paesi in cui si trovano. L’Unione Europea è stata più cauta, temendo insidie legali e fiscali. Il punto di incontro è stato trovato nell’acquisizione dei profitti da queste proprietà russe (tra cui aziende, società, compagnie di investimento, gruppi immobiliari). Due terzi dei beni congelati si trovano all’interno dell’Unione Europea, in gran parte custoditi dalla camera di compensazione belga Euroclear. Si tratta di una compagnia di servizi finanziari specializzata nel regolamento delle transazioni e nella custodia di titoli, nata nel 1968 come costola di J.P. Morgan.
Ad accogliere la decisione c’era il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, arrivato in Puglia per chiedere ai leader dei Paesi del G7 di sostenere la difesa di Kiev e la ricostruzione del Paese. «Abbiamo bisogno di un piano chiaro, simile a quello che il Piano Marshall è stato per l’Europa dopo la guerra», ha detto ai leader. Lo stanziamento deciso ieri non arriva a un decimo delle previsioni della Banca Mondiale che per la ricostruzione ha stimato costi vicini a 500 miliardi di dollari. I 50 miliardi promessi a Zelensky riguardano sia il sostegno umanitario che le spese in armamenti. Notizia salutata con favore dalla leadership ucraina che ha anche affermato come la recente revoca delle restrizioni sull’uso delle armi occidentali su obiettivi all’interno della Russia ha fornito una maggiore protezione dagli attacchi aerei. «Tuttavia – ha aggiunto – siamo ancora alla ricerca di ulteriori Patriot (sistemi di difesa aerea, ndr) e abbiamo bisogno di altri passi per migliorare le nostre capacità di attacco a lungo raggio». Parole che alludono alla possibilità di colpire più in profondità in territorio russo e con armi fornite dai Paesi Nato. Fonti diplomatiche del “Gruppo dei Sette” hanno ribadito che i leader concordano su un obiettivo: «Putin deve perdere, e tagliare la sua capacità di finanziare un conflitto prolungato è assolutamente vitale».
I presidenti di Stati Uniti e Ucraina, Joe Biden e Volodymyr Zelensky, hanno siglato a margine del G7 un accordo bilaterale di sicurezza della durata di dieci anni. L’intesa dovrebbe rappresentare un passo avanti verso l’eventuale adesione dell’Ucraina alla Nato. «Invitiamo gli Stati Uniti a fermare le sanzioni indiscriminate, illegali e unilaterali», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Lin Jian. Il gigante asiatico, che con la Russia di Vladimir Putin rivendica un’amicizia «senza limiti», promette di difendere i diritti delle aziende e dei cittadini cinesi colpiti dalle ricadute delle misure contro l’economia di Mosca.
«L’eroica resistenza degli ucraini ha impedito a Putin di portare a compimento il suo piano e la compattezza e l’unità d’intenti dell’Occidente ha assicurato alla nazione aggredita gli aiuti necessari per difendere la propria libertà», ha ribadito Giorgia Meloni. E sui beni congelati: «Non è una confisca». Con l’accordo di Borgo Egnazia sull’utilizzo dei profitti degli asset russi «inviamo un segnale forte all’Ucraina: sosterremo Kiev nella sua lotta per la libertà per tutto il tempo necessario. È anche un segnale forte per Putin: non può vincere», ha detto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
Dall’Adriatico al Mar Nero, il retrobottega del G7 al tempo di guerra prende anche le mosse della battaglia navale. Se Mosca spedisce la sua flotta a ridosso delle spiagge Usa, i “grandi” rispondono colpendo con nuove sanzioni la “flotta ombra” di Putin, dislocata nei cinque oceani per aggirare le sanzioni e continuare a rifornire la macchina da prima linea russa. La nuova serie di 50 provvedimenti colpisce i vascelli utilizzati per rastrellare munizioni, equipaggiamento, tecnologia. Per sostenere il bilancio di guerra il Cremlino utilizza le medesime direttrici marittime per continuare a esportare petrolio russo verso i Paesi che non hanno aderito alle sanzioni internazionali. Sono coinvolti anche soggetti con sede in Cina, Israele, Kirghizistan e Turchia. La Gran Bretagna ieri ha deciso di sanzionare anche la Borsa di Mosca. Un colpo al cuore del “Sistema Putin”, che era riuscito in questi due anni a tenere una linea aperta con Londra, snodo nevralgico per migliaia di operazioni finanziarie. Anche di questo avrebbe voluto parlare ieri sera il presidente Biden, che a causa dell’affaticamento degli ultimi giorni ha rinunciato alla cena offerta da Mattarella al Castello Svevo di Brindisi. Oggi lo aspetta un faccia a faccia con papa Francesco, e i temi da affrontare saranno tra i più spinosi.