Il funerale. L'ultima danza di Carla Fracci, "sempre libera"
L'omaggio a Carla Fracci davanti alla Scala
Bastano due note. Inconfondibili, anche se suonate sull’organo di una chiesa. Note della Traviata di Giuseppe Verdi. Prima il Parigi, o cara, durante l’aspersione e l’incensazione, lo straziante Addio del passato alla comunione e, alla fine, mentre il feretro esce dalla chiesa, nel controluce della piazza assolta, il Sempre libera. Sono risuonate, sabato, nella basilica di San Marco a Milano per i funerali di Carla Fracci, scomparsa giovedì a 84 anni.
«Con l’arte della danza, leggera e ardua, ha mostrato che il movimento del corpo può scrivere messaggi d’amore, storie di dolore, canti di preghiera», ricorda l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, nel messaggio alla famiglia letto a inizio della celebrazione. Sulla prima panca il marito, Beppe Menegatti, 91 anni, che ha conosciuto Carla nel 1953 e l’ha sposata nel 1964. Lo abbracciano, lo accarezzano, lo sorreggono i nipoti Giovanni e Ariele. Figli di Francesco che, stretto alla moglie Dina, non trattiene le lacrime. Ha gli occhi lucidi anche Marisa, sorella di Carla.
Quando il feretro entra sul sagrato di San Marco scoppia spontaneo un applauso e rompe il silenzio irreale dell’attesa. La bara di legno chiaro ricoperta di rose bianche è portata a spalla. Il feretro attraversa la navata, dove ci sono tanti nomi della danza di ieri e di oggi, Liliana Cosi che prega con le mani giunte, Anna Maria Prina, Amedeo Amodio, Roberto Bolle, Eleonora Abbagnato. Accanto alla famiglia il ministro della Cultura Dario Franceschini, il sindaco di Milano Beppe Sala, il sovrintendente del Teatro alla Scala Dominique Meyer. Le porte della chiesa rimangono aperte per consentire a chi è rimasto fuori, e sono in tanti, di seguire la cerimonia funebre presieduta dal parroco di San Marco, monsignor Gianni Zappa. «Carla Fracci ha comunicato attraverso una lingua che ha saputo far diventare universale. E la danza ha generato in lei la capacità e la forza di esprimere eleganza e bellezza del linguaggio del corpo, comunicazione e testimonianza preziosa e per certi aspetti esemplare per tutti noi», dice. La danza arriva anche dopo l’omelia.
L’organista fa risuonare le note di Adolphe Adam, quelle inconfondibili dell’entrata in scena di Giselle, il personaggio che Carla Fracci ha reso immortale. All’offertorio tocca a Nino Rota, al tema scritto dal compositore per il film Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli, omaggio ad un altro personaggio interpretato in scena dalla danzatrice. Dopo la comunione all’ambone sale Giovanni Nuti, autore delle musiche del Poema della croce sui versi poetici di Alda Merini, che Carla Fracci aveva danzato proprio in San Marco meno di due anni fa. La benedizione di monsignor Zappa accompagna l’uscita di Carla Fracci. Ancora portata a spalla sul sagrato. Il figlio Francesco ha in mano un mazzo di rose bianche. Le posa accanto al feretro, che non smette di accarezzare. E mentre il portellone dell’auto si chiude, si gira, cerca lo sguardo del padre Beppe e lo abbraccia forte.
Il messaggio dell'arcivescovo Mario Delpini
"Con l'arte della danza, leggera e ardua, Carla Fracci ha mostrato che il movimento del corpo può scrivere messaggi d'amore, storie di dolore, canti di preghiera": con queste parole l'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, ha voluto ricordare l'étoile nel giorno del funerale che sarà celebrato nella basilica di San Marco.
"La morte di Carla Fracci - ha osservato - è un'emozione che percorre tutta la città e che suscita echi in tutto il mondo. Partecipo del coro innumerevole che la ricorda, l'ammira, ne medita il messaggio di sublime arte espressiva, di seria disciplina e costante sacrificio, di generosa sensibilità. Porgo alla famiglia le mie condoglianze e assicuro la preghiera di suffragio".
"La gloria di Dio - ha concluso monsignor Delpini - trasfigura la gloria umana in compimento e consola chi ne piange il distacco".