Non bastava il taglio di nove frequenze tv alle emittenti locali. Altri canali potrebbero passare dal pianeta della televisione a quello del web sui cellulari dopo l’asta da quattro miliardi di euro che lo scorso settembre ha assegnato alle compagnie telefoniche un sesto dell’etere televisivo italiano. Colpa (o merito, a seconda dei punti di vista) del boom di smartphone e tablet che hanno bisogno di nuova banda per essere sempre collegati.L’ipotesi di cedere nuove frequenze al comparto delle telecomunicazioni è emersa durante l’ultima riunione della
task force che al ministero dello Sviluppo economico si occupa del passaggio al digitale nelle aree del Mezzogiorno dove la televisione è ancora in analogico. Nell’incontro è stato annunciato che l’Italia potrebbe sostenere una delle proposte in discussione nella Conferenza mondiale delle radiocomunicazioni in corso a Ginevra: si tratta della previsione di consegnare ai servizi della larga banda mobile dieci canali che oggi vengono utilizzati dalle tv. Spazi che, secondo gli esperti chiamati a delineare l’agenda internazionale che detterà l’uso dello spettro nei prossimi anni, verrebbero liberati quando si spegnerà in modo definitivo la tv analogica. In realtà l’etere italiano è di fatto saturo soprattutto nelle regioni dove il numero di emittenti del territorio è elevato (come Lombardia, Lazio, Toscana, Campania e Sicilia).La prospettiva svizzera ha fatto scattare l’allarme sia fra i network nazionali, sia fra le emittenti locali. «Se l’ipotesi trovasse attuazione, saremmo di fronte a un’ulteriore grave riduzione degli spazi per le locali che sono già state penalizzate con l’attribuzione dei nove canali alla telefonia mobile e con la procedura, adesso sospesa, del beauty contest», afferma Marco Rossignoli, coordinatore dell’Aeranti-Corallo, l’associazione che rappresenta oltre mille imprese radiotelevisive.Proprio dietro lo stop al «concorso di bellezza» che affidava a costo zero il dividendo digitale ricavato con gli switch-off, potrebbe esserci l’intenzione di rivedere l’utilizzo dei sei canali al centro dell’asta contestata. Se le locali ne rivendicano due per continuare a trasmettere con le proprie antenne, una parte potrebbe essere impiegata per la tecnologia 4G e quindi finire agli operatori delle telecomunicazioni. Una strada che consentirebbe allo Stato di incassare fino a due miliardi di euro e che si affiancherebbe alla vera gara fra i colossi tv per conquistare le frequenze nazionali rimaste da assegnare.Certo, di fronte alla mancanza di canali «non sarebbe certamente più possibile realizzare lo switch-off nelle aree ancora da digitalizzare dove gli spazi sono particolarmente scarsi», afferma Rossignoli. Le regioni che entro giugno passeranno alla tv in bit sono Abruzzo, Molise, Puglia, Calabria e Sicilia. E il presidente della Federazione radio televisioni, Maurizio Giunco, fa sapere che è impensabile chiedere agli imprenditori televisivi locali di sostenere investimenti per il digitale senza avere garanzie sulle frequenze. Il tema sarà discusso di nuovo lunedì in un tavolo di confronto al Dipartimento per le comunicazioni del ministero.