«È arrivato il momento di denunciare ritardi, omissioni e sbagli dell’Unione europea nel garantire la sicurezza dei propri cittadini e nell’approntare una efficace strategia antiterrorismo. Ci sono decisioni prese diversi anni fa e mai adottate sul serio, altre eternamente rinviate. La Commissione di Juncker deve avere più coraggio nel guidare questa fase e ha bisogno di più poteri nel presentare provvedimenti d’urgenza, gli Stati condividano davvero le informazioni e il Parlamento di Strasburgo cessi di essere un luogo di discussioni alate sui grandi diritti...». Franco Frattini sbotta, ed è una rarità. Ex ministro degli Esteri, ex commissario Ue dal 2004 al 2008 con delega, tra l’altro, alla sicurezza, ha fatto dell’aplomb istituzionale una sorta di biglietto da visita. Ma la fase poco si presta al politicamente corretto: «La verità è che i singoli Stati hanno una mole enorme di informazioni. Ciascuno ha un pezzettino dei movimenti estivi di Salah, per capirci. Ma poi mancano gli incroci ed è tutto inutile».
Non è incoraggiante come analisi... Vede, io ho un incubo. La fine di Schengen, la chiusura delle frontiere, le file per presentare i passaporti anche quando viaggiamo da uno Stato europeo all’altro, da Roma a Parigi. Sarebbe la prima vera vittoria culturale del Daesh. Si può evitare, ma si è perso tanto tempo.
Perché? Il famoso Pnr (
Passenger name record) di cui si parla in questi giorni risale a 9 anni fa. Nove. Una cosa semplice, custodire in una banca dati centralizzata tutti i dati dei passeggeri del traffico aereo. Tra Ue e Usa funziona, non all’interno dell’Europa. A lungo Strasburgo non ha voluto sentire ragioni in nome della privacy e del 'Grande fratello'. Ma ci sono momenti in cui i vari diritti debbono essere pesati e messi in una scala di priorità. Un’altra cosa che proposi è il cosiddetto
entry-exit database, un contenitore unico di tutti i movimenti in entrata e in uscita dall’area Schengen, registrati con impronte biometriche. Era un passo necessario, complementare all’allargamento dell’area di libera circolazione. Per restare al caso Salah, così sarebbe stato individuato a qualsiasi posto di blocco durante la sua fuga da Parigi al Belgio.
Perché l’Ue non riesce a decidere? Per diversi fattori. Da un lato, è noto, perché gli Stati membri hanno un potere enorme rispetto a quello della Commissione. Pensi all’immigrazione: il piano Juncker prevedeva la distribuzione di 140mila rifugiati, poi 40mila, poi 40mila in due anni. E stiamo a zero dopo tanti Consigli Ue di emergenza. E pensare che nove anni fa già si parlava di guardia costiera unificata - avevo pure fatto disegnare le divise -, di una lista unica dei Paesi dai quali non accettare richiedenti asilo. L’altro motivo dei ritardi è un Parlamento Ue che a volte pare sospeso in una nuvola sganciata dalla realtà. E così ci sono scelte importanti come il Sis (
Schengen information system) e ilVis (
Visa information system) che, non implementate a dovere, vanno ad arricchire il fitto albo delle sigle esotiche partorite a Bruxelles.
Anche la giustizia europea spesso interviene a tutela delle libertà personali... Ne ho fatto esperienza con la direttiva
Data retention, la possibilità di tracciare i cellulari non per captare i contenuti delle conversazioni ma per controllare i movimenti. Fu grazie a questa misura che riuscimmo a prendere a Roma, in un internet cafè della stazione Termini, due terroristi che avevano agito a Londra. Poi la Corte europea ne ha limitato la forza. Restando su questo tema, c’è un problema anche per i protocolli di collaborazione tra Stati Ue e partner non europei. La Corte dei diritti ha punito diversi Paesi per l’espulsione di sospetti terroristi. Ma così anche questa diventa un’arma spuntata.