Palermo. Fratel Biagio in strada: «Come chi non ha nulla»
Il giaciglio, tra coperte e cartoni, di fratel Biagio Conte
L’ultimo "residente della strada" che ha accompagnato fino alla fine si chiamava Giuseppe. Barba incolta, 57 anni che valevano il doppio, senza la forza neppure di parlare, si era ricavato un giaciglio in un anfratto del popolare mercato del Capo, alle spalle del Palazzo di giustizia di Palermo. Il missionario laico Biagio Conte e i suoi volontari lo hanno raccolto e portato in ospedale e un paio di giorni fa è morto, «ma almeno non è rimasto per strada».
Piange fratel Biagio, l’uomo col saio verde e gli occhi azzurri, nel toccare con mano la povertà nera, aumentata esponenzialmente negli ultimi anni, «ancora di più di quando cominciai sotto i portici della Stazione Centrale con i fratelli che vivevano lì negli anni Novanta», ma soprattutto nel guardare in faccia l’indifferenza. Quella che uccide. Come ha ucciso i numerosi senzatetto di Palermo, morti negli ultimi mesi in un angolo di strada, fino al caso di Amor il pomeriggio di Capodanno. Loro sono la prova che qualcosa non va, che le ingiustizie sociali stanno relegando ai margini uomini soli, famiglie con figli, anziani, nell’indifferenza generale. E Biagio Conte, che da oltre 25 anni ospita mille persone senza più nulla, italiani e migranti senza distinzione, in tre strutture che fanno di Palermo la città dell’accoglienza, ha deciso di farsi come loro.
Così, mercoledì sera ha preso un paio di coperte, la Bibbia, il breviario, ha raccolto per strada un cartone robusto e ha sistemato il suo giaciglio di protesta sotto i portici delle Poste centrali di via Roma. Proprio dove qualche anno fa emise l’ultimo respiro Vincenzo, un senza dimora che la missione 'Speranza e Carità' ha assistito e accompagnato verso la morte, facendogli sentire l’affetto e l’attenzione che per una vita gli erano stati negati. Ha trascorso lì la notte tra mercoledì e giovedì, informando della sua decisione solo il suo braccio destro padre Pino Vitrano. Nessuna spiegazione, solo una lunga lettera scritta a mano, da cui traspare un travaglio, maturato dopo il suo rientro, a metà settembre, dal pellegrinaggio che gli ha permesso di toccare tutte le regioni d’Italia, toccando infinite forme di povertà e di bisogno estremo. Tornato a Palermo, si è trovato davanti una situazione gravemente peggiorata. «Vivo un profondo disagio: non riesco a essere tranquillo, non dormo e non riesco a mangiare, sapendo che ancora ad oggi tante persone vivono per strada» scrive con dolore. «Tante famiglie sono sfrattate e non hanno la casa, tante persone non hanno lavoro.
La forte indifferenza e il profondo egoismo ancora oggi sono molto diffusi, mi inducono a rispondere al male con il bene. Per queste ingiustizie mi abbandono anch’io per strada, per solidarizzare con chi è morto per strada, per chi ancora dorme per strada. Mi sosterranno la preghiera e il digiuno, affinché i cuori e le coscienze si scuotano e si sensibilizzino verso i più bisognosi » dice, firmandosi «piccolo servo inutile». E piccolo lo appare davvero, imbacuccato per difendersi dall’umidità sotto quelle imponenti colonne di epoca fascista che nascondono il difensore degli 'ultimi'.
Lancia un appello accorato alla città, alle autorità e ai singoli cittadini: «Chi ha e non dona nulla al bisognoso, al più debole, all’indigente, non può essere un uomo o una donna di giustizia, di pace, di speranza. Questo appello è rivolto a tutte le città e regioni d’Italia: è urgente aiutare chi non ha la casa, il lavoro». Il primo a reagire è il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci: «Nei prossimi giorni incontrerò il missionario per esprimere la vicinanza del governo regionale e concordare possibili e concrete iniziative a sostegno del proprio impegno sociale».