Tremilacinquecento morti negli ultimi cinquant’anni per i – cosiddetti – "fenomeni naturali": cioè in media sette al mese. Cinquemila grandi alluvioni e dodicimila frane negli ultimi novant’anni: cioè in media un’alluvione o una frana ogni giorno e mezzo. Tutto questo in Italia, uno dei Paesi europei più dissestati idrogeologicamente, nel quale ventitré milioni di persone vivono in zone a rischio comprese in seimilaseicento comuni (l’81,9% della realtà amministrativa). Numeri, questi, messi in evidenza ieri dal presidente dell’Associazione nazionale bonifiche e irrigazione (Anbi), Massimo Gargano.
Urbanizzazione sfrenata. E numeri aggravati dall’urbanizzazione: «Il consumo del suolo si stima in 3.665.261 ettari nel periodo 1990-2005, nello stesso periodo ai fabbricati già esistenti si sarebbero aggiunti altri 3,139 miliardi di metri cubi di capannoni industriali e lottizzazioni residenziali».
A rischio alluvioni torrentizie. Un quadro dunque già critico e che ha un futuro ancora più... incerto, segnato dall’«incremento di eventi meteorologici estremi, rappresentati da piogge che, calate del 20% in termini quantitativi, raddoppieranno o triplicheranno di intensità». E «se ancora oggi è considerata eccezionale una pioggia fra venti e trenta millimetri all’ora – ha continuato Gargano – entro pochi decenni tale soglia dovrà essere collocata fra i cinquanta e i sessanta millimetri orari», il che «aumenterà esponenzialmente il rischio di "
flash floods", vale a dire alluvioni torrentizie», come già si vide a Sarno e Soverato.Senza dimenticare che «l’assenza di una rete di invasi, fa terminare annualmente in mare, inutilizzati, otto miliardi di metri cubi d’acqua piovana, pari a sedici volte la superficie del lago di Garda!».
Piano da quattro miliardi. Allora, proprio nel giorno in cui si sono contati i danni causati dalle frane e dagli allagamenti che hanno colpito la Sicilia (la zona del messinese), l’Anbi ha presentato un piano pluriennale contro il rischio idrogeologico. Piano che girerà alle istituzioni governative e locali, che prevede un investimento da oltre quattro miliardi di euro per interventi immediatamente cantierabili, di competenza dei consorzi di bonifica. La proposta («frutto di un monitoraggio svolto sul territorio», dice l’Anbi), costa complessivamente 4.183 milioni di euro, «da reperire anche attraverso una proiezione quindicennale dell’impegno di spesa, che potrebbe realizzarsi mediante mutui». Gran bella cifra, ma «appena un quinto della spesa sostenuta per tamponare i danni delle catastrofi idrogeologiche, verificatesi del decennio 1994-2004», ammontati a 20.946 milioni di euro.
Lavori ordinari e straordinari. In sostanza si tratterebbe di eseguire lavori di adeguamento e ristrutturazione dei torrenti e delle rogge, come pure per il ripristino delle frane sulle sponde dei canali. Di realizzare manutenzione straordinaria e adeguamento del reticolo idraulico di bonifica, delle centrali idrovore e degli argini, ma anche di manutenzione del reticolo idraulico a difesa dei centri abitati. Di realizzare opere per il contenimento delle piene (così da «smaltire gli elevatissimi volumi idrici derivanti dai bacini montani e che giungono a valle sempre più rapidamente). Di adeguare le infrastrutture idrauliche al territorio urbanizzato. E di stabilizzare le pendici, collinari e montane.
Già i primi «sì». Il Piano, per altro, ha portato subito a casa l’appoggio del vicecapo dipartimento della Protezione Civile, Bernardo De Bernardinis, e del presidente del consiglio nazionale dell’Anci, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, che hanno subito spiegato di essere disponibili a promuoverlo nelle sedi governative. «Dopo i recenti disastri idrogeologici – ha ribadito Alemanno – abbiamo una situazione drammatica sul territorio nazionale: non possiamo agire solo in emergenza con la Protezione civile, ma dobbiamo avere una cura costante del territorio, con una rete diffusa come i consorzi di bonifica». Secondo De Bernardinis, negli anni «si è dimenticato di leggere l’evoluzione del territorio, governandola», al contrario «dobbiamo accettare il fatto di seguirla nel tempo, con un accordo maggiore tra urbanistica e conoscenza dei rischi».