L’Angelus. Francesco ricorda Emanuela Orlandi «Vicinanza alla famiglia e preghiera»
A leggerla bene, va molto oltre le 52 parole di cui è composta la dichiarazione con cui papa Francesco ha espresso vicinanza e preghiera, domenica scorsa all’Angelus, alla famiglia di Emanuela Orlandi, estendendo il suo pensiero anche a quanti soffrono per la sparizione di una persona cara (ad esempio Mirella Gregori, coetanea di Emanuela, scomparsa senza mai essere ritrovata poco più di un mese prima di quel fatidico 22 giugno di 40 anni fa).
«In questi giorni - ha detto infatti il Pontefice affacciandosi alla finestra come di consueto - ricorre il 40° anniversario della scomparsa di Emanuela Orlandi. Desidero approfittare di questa circostanza per esprimere, ancora una volta, la mia vicinanza ai familiari, soprattutto alla mamma, e assicurare la mia preghiera. Estendo il mio ricordo a tutte le famiglie che portano il dolore di una persona cara scomparsa».
Parla ad esempio l’inciso «ancora una volta» che precede la manifestazione dei sentimenti del Pontefice. E parla anche il fatto che a essere espressamente nominata, nella famiglia, sia solo la mamma della ragazza. Non il fratello Pietro protagonista - a volte ben oltre le righe, come nel caso delle improvvide dichiarazioni su san Giovanni Paolo II, mai ritrattate (anzi domenica l’uomo ha detto: «Non dovrebbero esserci nel 2023 persone intoccabili, io le persone le guardo senza l'abito che portano») - delle pur comprensibili e condivisibili “battaglie” di questi anni per giungere alla verità.
Sempre domenica, inoltre, molti tra i 20mila fedeli presenti in piazza San Pietro per la preghiera mariana di mezzogiorno hanno mostrato delusione quando lo stesso Pietro e alcuni manifestanti hanno continuato ad urlare «verità» anche dopo le parole del Papa. E desta perplessità anche la sua dichiarazione di commento alle parole di Francesco, rilasciata alle agenzie: «Il tabù Emanuela Orlandi è caduto finalmente». Forse non tenendo conto, nell’emozione del momento, che le parole di Francesco vanno ad aggiungersi agli otto appelli in meno di anno pronunciati a suo tempo da Papa Wojtyla, alla vicinanza dimostrata anche da quel Pontefice alla famiglia (san Giovanni Paolo II si recò personalmente a casa degli Orlandi e si interessò perché fosse garantito un posto di lavoro per il fratello Pietro) e all’attività di collaborazione alle indagini offerta dalla Santa Sede allo Stato italiano, come risulta anche da una dichiarazione del 14 aprile 2012 dell’allora direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.
È inoltre un fatto acclarato che papa Francesco abbia dato corso a tutte le richieste di Pietro, giungendo a disporre, all’inizio di quest’anno, che venisse aperta un’inchiesta in Vaticano, affidata al promotore di giustizia, Alessandro Diddi. Il quale, lo scorso 11 aprile sentì proprio Pietro Orlandi per otto ore, acquisendo da lui una serie di elementi per le indagini. Fu proprio in seguito a quella deposizione che poi, in una trasmissione televisiva, lo stesso Orlandi fece dichiarazioni su Giovanni Paolo II che provocarono le indignate reazioni di molti (primo tra tutti il suo segretario personale, cardinale Stanislaw Dziwisz) e qualche giorno dopo anche una severa presa di posizione del Papa che definì il suo santo predecessore oggetto di «illazioni offensive e infondate» e fu ancora più esplicito sul volo verso in Ungheria, parlando di «cretinata».
Ad ogni modo, il 22 giugno Diddi ha reso noto di aver raccolto, «nei mesi scorsi tutte le evidenze reperibili nelle strutture del Vaticano e della Santa Sede, anche cercandone attestazione tramite conversazioni con le persone responsabili di alcuni uffici all’epoca dei fatti». Quindi «ha proceduto all’esame del materiale confermando alcune piste di indagine meritevoli di ulteriore approfondimento e trasmettendo tutta la relativa documentazione, nelle scorse settimane, alla Procura di Roma, perché questa possa prenderne visione e procedere nella direzione che ritiene più opportuna». Da parte sua, il Promotore di giustizia riaffermava la volontà di proseguire «la sua attività nei mesi a venire».
In precedenza l’11 luglio 2019, su richiesta degli Orlandi, vennero aperte due tombe nel Cimitero Teutonico in Vaticano (attiguo all’Aula delle udienze generali “Paolo VI”), dove secondo una segnalazione anonima si sarebbero potuti trovare i resti della ragazza. L’indagine dette esito negativo. Le tombe indicate nella segnalazione erano vuote. Resti rinvenuti in tombe adiacenti e analizzati dagli esperti non rivelarono tracce del dna di Emanuela Orlandi, come fu confermato nel 2021.
Stesso esito negativo nell’ottobre 2018, in seguito al ritrovamento di ossa umane durante dei lavori di restauro nella sede della Nunziatura Vaticana di Via Po a Roma. L’esame del dna, autorizzato dal Vaticano, aveva rivelato che le ossa risalivano a un periodo precedente al 1964, quando la ragazza non era ancora nata e che comunque si trattava dello scheletro di un uomo.
In sostanza, nei quasi quarant’anni dalla scomparsa, molte piste sono state seguite dagli inquirenti, soprattutto italiani. Ma nessuna ha portato a niente. Rivelatasi falsa quella che collegava la scomparsa di Emanuela all’attentato a papa Wojtyla, venne ipotizzato un coinvolgimento della Banda della Magliana, soprattutto dopo la scoperta che uno dei suoi boss, Enrico De Pedis, detto Renatino, era sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare, proprio vicino al luogo in cui Emanuela era scomparsa. L’apertura della tomba, avvenuta Il 14 maggio 2012, rivelò che al suo interno era presente unicamente la salma del defunto (poi rimossa e cremata, come disposto dai familiari). Ulteriori scavi hanno permesso di ritrovare solo nicchie con resti di ossa risalenti al periodo napoleonico. Nessuna traccia del dna di Emanuela, né di Mirella Gregori, il cui caso è stato più volte accostato a quello di Orlandi, senza che sia però mai emersa alcuna prova, o almeno un indizio, del collegamento.
Nell’ottobre del 2015 il Gip archiviò, su richiesta della Procura di Roma, l’inchiesta sulle sparizioni di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, per mancanza di prove. L’inchiesta era stata avviata nel 2006 sulla base delle dichiarazioni di Sabrina Minardi, che ebbe una storia con De Pedis, tra il 1982 e il 1984. Ma la donna, caduta in pesanti contraddizioni, venne ritenuta un teste poco affidabile.
Ora vediamo dove porterà la nuova inchiesta della Procura di Roma, mentre si dibatte sull’utilità di una commissione parlamentare d’inchiesta (approvata alla Camera, ferma al Senato). Ma quarant’anni cominciano a diventare davvero tanti. Tranne che per la preghiera e la vicinanza. Come è negli auspici di tutti. Papa Francesco in testa.