A 95 anni, la lettura di un articolo di giornale può infiammarlo come un ventenne. Al cardinale Ersilio Tonini i ragionamenti di Michele Salvati ieri sulla prima pagina del
Corriere della Sera hanno suscitato un torrente di riflessioni: perché, a loro modo, sono andati al cuore delle ragioni per le quali la Chiesa sta in mezzo agli uomini come un riferimento certo, riconoscibile, fedele. Dal terremoto ai grandi temi del dibattito pubblico.
Eminenza, Salvati scrive che la Chiesa farebbe meglio ad accentuare la carità rispetto ad altro... «È un articolo sostanzialmente positivo, ma con un punto debole».
Quale? «Si dimentica che la Chiesa non può non amare l’uomo, tutto l’uomo. La verità è che egli è un mistero immenso, il più grande apparso sulla Terra. Non è solo il cristianesimo a dirlo: l’avevano già intuito i greci, ci sono pagine magnifiche a documentarlo. Pensi a I persiani di Eschilo, la tragedia che narra la battaglia di Salamina con l’attenzione non tanto rivolta alle operazioni belliche quanto alle mamme persiane cui tocca di ascoltare notizie sui loro figli, impegnati nei combattimenti, da messaggeri che le raggiungono a turno. Per l’autore l’accento non è sul trionfo militare ma sulla grandezza d’animo delle madri. Questo è l’uomo».
In terra d’Abruzzo la Chiesa sta mostrando una volta ancora il suo impegno caritativo. Ma viene capito lo spirito dal quale è mosso? «È giusto, e anche bello, che venga notata l’opera di tanti uomini di Chiesa che testimoniano come la carità non sia un’enunciazione generica ma un lasciarsi scegliere dalla realtà più vera, quella più dura, ovvero dalle esigenze primarie dell’uomo. C’è infatti una graduatoria per la Chiesa nei suoi interventi, difficile da definire a priori perché le urgenze umane sono infinite. I grandi pastori, i maestri nella Chiesa, sono quelli che hanno avuto il coraggio di fare una scelta degli obiettivi cui dedicare il meglio delle proprie forze. Don Bosco puntò sui ragazzi, con una scelta che parrebbe affettiva e invece è ispirata da straordinaria sapienza. San Francesco Saverio è l’uomo dell’ardimento, che spalanca orizzonti, non in forza di uno slancio fine a se stesso ma per un’intuizione ispirata. C’è un’intelligenza profonda in queste scelte, ieri come oggi, che non sempre viene colta. Anche oggi ci sono strade da aprire, in nome di una vocazione e di un mandato che urge nel cuore della Chiesa di ogni tempo».
Anche davanti al terremoto?«La Chiesa coglie segnali. Il mondo greco, come quello medievale, aveva capito che tutti i grandi problemi, compreso quello dello Stato, al dunque si riducono alla grande questione dell’uomo, che è sempre fine e mai strumento. È ciò che la Chiesa ha ricevuto come mandato: non è solo l’uomo a meritare la massima stima e attenzione ma soprattutto la persona umana più debole, quella che ha meno potenzialità naturali. Che gli ultimi siano destinati a diventare i primi è Gesù stesso a dirlo».
Quando si muove sul terreno della carità la Chiesa riceve un consenso pressoché unanime. Come lo spiega? «Perché la sua è l’azione più pura, quella nella quale meno si vede emergere la potenza umana, supplita dal meglio dell’uomo racchiuso nella paternità e maternità».
Salvati si chiede perché allora la Chiesa non accentua questa sua missione di carità – che riscuote tanti applausi – anziché insistere sui nodi della bioetica. Come risponde? «È una domanda che pare opportuna e che invece mi sembra un po’ sfasata. E le spiego perché. Il parroco – lo sono stato anch’io, a suo tempo – è l’amministratore della carità, non solo dei sacramenti; egli aiuta anzitutto ogni uomo a riconoscere la propria missione, il posto che occupa nel suo tempo, nella comunità, nella storia. Il buon parroco è colui il quale aiuta ciascun giovane a scoprire la sua vocazione, la destinazione nella vita, persino il mestiere cui è chiamato. Intendo dire che il compito primo della Chiesa è aiutare ognuno a trovare la propria ragion d’essere, a capire che è Dio il suo vero bene. La sublimità della vita si svela grazie all’incontro dell’uomo con Dio, che ha voluto addirittura imparentarsi con lui: non poteva stimarlo più di così. Per questo la Chiesa difende fieramente l’uomo da ogni degrado. Ma se si legge la Chiesa solo come erogatrice di opere buone – per quanti applausi raccolga – un simile orizzonte scompare».
È per impulso di questa certezza che la Chiesa si esprime anche sui temi della vita? «Chi dubita che debba farlo dovrebbe venire qui, all’Opera Santa Teresa di Ravenna, dove ho scelto di vivere. Lo porterei a visitare il reparto dei bambini cerebrolesi: vedrebbe una meraviglia infinita dentro quelle creature, e un’infinita tenerezza in chi le assiste. Avrebbe un motivo di stupore continuo di fronte alla materializzazione dell’humanitas. Attraverso le opere di carità la gente tocca con mano cos’è la Chiesa, a cosa è ispirata la sua presenza. Ed è grazie alla fedeltà della Chiesa alla propria identità che all’uomo di ogni epoca è garantito di restare uomo, con tutta la sua dignità».
Ma c’è chi obietta che quando la Chiesa parla di procreazione o fine vita, smette di essere 'caritatevole' e inizia a far politica. «Quando ricorda chi è l’uomo la Chiesa esprime la massima esaltazione della persona umana. Si parla di testamento biologico, ma si intende il momento in cui l’uomo si ammala, diventa più debole e rischia proprio per questo di contare meno, di essere meno uomo. Chi, e perché, lo difende? La politica consiste forse nel comporre graduatorie, nel far pesare di più chi è sano, nel mettersi d’accordo su chi ha valore e chi no? L’aveva intuito già Socrate, con una specie di presentimento del messaggio cristiano: il più debole non vale meno del più forte, perché ciò che conta non è la potenza o la ricchezza ma la capacità di amare».
Scrive ancora Salvati: non converrebbe alla Chiesa concentrarsi sul terreno nel quale non teme concorrenza – la carità, appunto – anziché scendere nell’arena delle idee, dove la sua immagine può venire ridimensionata? «Ma senza princìpi, cosa valgono tutte le sue opere? Siamo di fronte a un sintomo che rivela il degrado della nostra cultura, incline a dare più valore a ciò che sembra meglio rispondere al clima del momento. La Chiesa ha il dovere di ricordare a tutti – con la parola e le opere – qual è il criterio sul quale misurare il valore dell’uomo. È forse il denaro, l’efficienza, la salute? O risiede in altro? La carità mostra cos’è questo 'altro', non soggetto al fascino di alcuna propaganda».
Parlare con nettezza di inizio e fine vita espone al rischio dell’impopolarità... «Ma non si può credere che soccorrere i terremotati sia una cosa e parlare della dignità della vita umana sia tutt’altro! È un errore formidabile. Nelle nostre famiglie quali sono i momenti più solenni? La nascita e la morte, l’inizio e la fine della vita. E che dire della malattia, ovvero del momento in cui l’uomo è più fragile? Di questo si occupa la Chiesa: di tutto l’uomo, dal principio alla fine, in ogni circostanza della vita, specie quando attraversa la prova. Non si danno due cuori, due intelligenze, due Chiese».
Eppure c’è chi continua a contrapporre un volto all’altro... «Nella Chiesa c’è una maternità verso i più deboli che rispecchia la maternità naturale, ovvero il rapporto più umano che esista. Dico di più: trovo pienamente me stesso accanto ai bambini ospiti in questa struttura di Ravenna, che sembrano deformi ma danno un volto all’essere umano più fragile di cui in ogni famiglia ci si prende cura con speciale attenzione. Il cuore con cui la Chiesa cammina tra le macerie d’Abruzzo e si china sulle fragilità umane è lo stesso con cui insegna il Vangelo della vita. Ci sono valori più alti da testimoniare. Diversamente, perché i missionari partirebbero per l’Africa, l’Asia o l’America Latina? Benedico la Chiesa, la benedico per davvero, perché è la comunità dove i più deboli sono quelli che contano di più. Essere cristiani vuol dire testimoniare questo in ogni epoca, e interpretare le esigenze del tempo, rendersi responsabili dell’umanità del proprio momento storico. Aiutare l’uomo a ritrovare la sua grandezza».
Eppure, si legge ancora sul Corriere, gli italiani non apprezzerebbero quel che dice la Chiesa sulla vita... «Ma per fortuna c’è qualcuno che considera l’uomo come sommo valore! No, non credo a questa affermazione, anche perché nessuno ha mai rimproverato la Chiesa per essersi presa cura degli uomini. Cosa ci dicono giganti della fede come don Orione se non questo? Salvati lo elogia: giusto, ma a patto di ricordare che don Orione non era solo un uomo di buon cuore. La sua carità era mossa da un’intelligenza superiore e da un ardimento senza pari. Le opere non camminano senza la fede, la sapienza e il coraggio».