Editoriale. Francesco e lo scandalo del Vangelo, il cammino impegnativo
«Volete andarvene anche voi?». Pare di sentirle ancora quelle parole provocatorie di Gesù quando, di fronte allo scandalo della sua predicazione, chi lo aveva seguito e diceva di credere in lui se n’era andato, come se ci fosse una misura dell’intelligenza e del cuore che neppure Dio può oltrepassare se non vuole essere scaricato dai “suoi”.
La scena evangelica della solitudine alla quale il Signore si consegna per essersi rivelato sino in fondo nel suo inaudito amore per la nostra sbandata umanità torna alla memoria ogni volta che sale lo scandalo di alcuni cristiani attorno al Papa che ci chiede passi in avanti nella comprensione del Vangelo. Passi non sempre facili, persino indigesti per molti, ma da quando la fede ci ha promesso una vita in discesa? Papa Francesco, e prima di lui altri Papi che abbiamo conosciuto, non si ferma mai alle convinzioni familiari e confortanti, continua a rileggere per noi il deposito della fede e della dottrina mostrandocene nuovi aspetti che, alla luce di tempi complicati e incerti come i nostri, possono anche suscitare la reazione istintiva di fermarsi, di non seguirlo, se non addirittura di andarsene. Come se si trovasse esagerato quel che Pietro ci spiega, in fondo convinti che non può chiederci di assecondarlo fin lì. E invece, potrebbe essere proprio da quel passaggio più impervio che dipende una nuova chiarezza sul messaggio cristiano del quale desideriamo essere testimoni convinti. Talune reazioni in queste ore dopo la diffusione della Dichiarazione del Dicastero per la Dottrina della Fede Fiducia supplicans «sul senso pastorale delle benedizioni», con i passaggi sulle coppie formate da persone dello stesso sesso, sembra riproporre quella impressionante scena evangelica: il Maestro che volge lo sguardo e vede il gruppo dei discepoli assottigliarsi, e gonfiarsi le file dei detrattori. Un giro sui social è illuminante: chi gira le spalle al Papa, chi lo biasima, chi si sdegna scagliandosi contro di lui, chi lo contesta, e riferisce a modo suo quel che gli ha fatto montare un dissenso che scivola nell’ostilità. Oggi come allora, c’è chi credeva di aver incontrato la verità trionfante sul potere ideologico e oppressivo, invece ecco cadere l’illusione, con quella dottrina che gli era sembrata tanto certa e scintillante diventata all’improvviso disarmata, paradossale, troppo faticosa da digerire, diversa dalle aspettative: «Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?».
Nel capitolo 6 di Giovanni la solitudine di Gesù dà un groppo alla gola, con quella carezza istintiva di Pietro («Dove andremo? Tu hai parole di vita eterna») a lenire una delle pagine più amare dei Vangeli. La stessa commozione coglie – lo confessiamo – leggendo gli attacchi al Papa per aver “ecceduto” nella misericordia, con la benedizione dei peccatori, com’è ognuno di noi, senza eccezioni, in cerca di una parola che accoglie e una mano che incoraggia. Che cosa ci sarebbe di tanto inaccettabile in questo cristianesimo in purezza? Invece c’è chi non accetta, reagisce, rifiuta. E finisce col rovesciare la base stessa della dottrina – l’annuncio rivolto a chi deve convertirsi, cioè tu, io, tutti – alla quale ispira la sua vita. Il Vangelo capovolto può diventare così un bastone agitato nel nome della verità, la sua legge dell’amore trasfigurata in giudizio preventivo, la consapevolezza del proprio limite rimossa per far spazio alla sicurezza di essere tra i già salvi, sicuri di avere in tasca le chiavi del Regno, mentre lui, il Papa, no, le avrebbe perse. E pazienza per le novantanove pecore in giro da qualche parte là fuori: conta stare al sicuro di quel che si crede di aver capito una volta per tutte. “Il magistero non si cambia”, è la voce che rimbalza da una chat a un blog. Fosse vero, il Vaticano II – per dirne una – si sarebbe ben guardato dall’aprire alla santità dei laici nella vita quotidiana (uno dei luoghi più infestati di peccato che si possa immaginare), idea fino a ieri l’altro al confine con l’eresia.
Il rischio dell’incomprensione e della solitudine fa parte dell’annuncio evangelico dal momento in cui Dio si è incarnato in un bambino, in una situazione di degrado indicibile, contemplato da pastori e non da teologi, cullato da una ragazza senza nulla in un posto sperduto ai margini del mondo, non a Roma, o ad Atene. Il gesto più scandaloso della storia umana. Eppure, di quel capovolgimento del consolidato senso comune del tempo (e pure del nostro, a essere sinceri), di quella storia alla rovescia, siamo tutti figli. Sarebbe utile ricordarsene ora che è Natale e in casa custodiamo gelosamente il presepe come pegno di una segreto prezioso, per ricondurci così alla difficilissima umiltà di ascoltare, leggere, sforzasi di capire, impegnarsi ad afferrare una logica che può non essere la nostra – non ancora – ma se è davvero quella di Dio allora è tempo perso mettersi contro.
Ad assicurarcelo è il Papa, non un opinionista o un influencer di passaggio. Il Papa, scelto dallo Spirito Santo, la pietra su cui il Signore continua in ogni tempo a edificare la sua Chiesa. È il Papa che ci conferma e ci garantisce nella fede, che ci ricorda ogni giorno che non ci siamo illusi, che la strada è proprio questa. Faticosa, certo. Ma insieme a lui sappiamo una cosa sicura: che non ci perdiamo, non ci perderemo mai. Non lasciamolo solo, stiamogli accanto, con affetto e riconoscenza, proprio perché come un buon padre ha il coraggio di proporci un cammino impegnativo, sapendocene capaci. E d’altra parte, dove andremo?