Gli angoli di Tiozzo. Fra i monasteri del Ladakh, il “piccolo Tibet” dell'India
Tra tutte le religioni e culture spirituali originarie dell’estremo est asiatico, non vi è dubbio che il buddismo sia quella che ha sedotto di più il mondo occidentale, sempre più secolare e proprio per questo sempre più disorientato nelle turbolenze dello spirito. Tuttavia la diffusione di una cultura spirituale in una terra lontana dalla sua origine, specialmente nel mondo tendenzialmente superficiale che caratterizza le società occidentali, assume spesso le caratteristiche di una tendenza passeggera, di una moda che lascia dietro sè molta forma, poca sostanza e il più delle volte nessuna conoscenza. Da grande appassionato di religioni e storia delle culture spirituali, ho a lungo cercato di capire quali fossero le caratteristiche delle cultura buddista, e specialmente tibetana. Sovente mi sono scontrato con complicati diagrammi di divisioni tra scuole di pensiero a loro volta sparse per tutti i paesi dell’Asia, e nel tentativo di immaginare un viaggio in Tibet ci si scontra invece con le difficoltà politiche di accesso a una regione che è sotto stretto controllo da parte del governo cinese.
Scoprii così, nelle mie ricerche, la regione del Ladakh, un vero e proprio gioiello di natura e cultura incastonato nell’estremo nord dell’India, al confine con Cina e Pakistan. Il Ladakh, letteralmente “la terra degli alti passi di montagna” è anche noto come “piccolo Tibet”, perché in queste vallate dalle altezze vertiginose la cultura buddista tibetana si è diffusa e sviluppata moltissimo intorno al IX secolo, quando il Tibet era un vero e proprio impero esteso dall’altopiano del Tibet fino alle vette del Karakorum e del Pamir.
Nonostante sia una regione semplice da raggiungere, se paragonata al Tibet cinese, il Ladakh ha le sue criticità, come ogni terra di confine. Essere al confine con Paksitan e Cina, paesi con cui l’India ancora oggi condivide aspri trascorsi e rivendicazioni territoriali, fa sì che questa sia una delle regioni più militarizzate di tutta l’India, cosa che, a sua volta, dà vita a un contrasto tra i più bizzarri a cui si possa assistere: enormi caserme ripiene di pesanti mezzi militari accanto a sontuosi monasteri buddisti interamente votati al silenzio e alla contemplazione. Sono proprio questi monasteri, tuttavia, a essere ciò che rende straordinario un viaggio in Ladakh. Strutture a dir poco ardite, arroccate su speroni di roccia, quasi fossero castelli, che colpiscono fin da subito per loro natura straordinariamente scenografica.
Il punto più basso, in Ladakh, è intorno ai 3000 metri di quota, e questo fa sì che in questi monasteri, come nel resto della regione, gli inverni siano rigidi, con temperature spesso oltre i 20 gradi sotto zero: impossibile non esplorare, con la mente, la grande austerità a cui si sono sottoposte, in queste stanze umide e senza fonti di riscaldamento, generazioni di monaci delle diverse scuole del buddismo Mahayana, più comunemente noto come “Buddismo tibetano”. Ed è proprio all’interno di questi monasteri che è finalmente possibile conoscere, approfondire ed esplorare tutti i meandri di questa cultura spirituale millenaria, osservare il mondo con i loro occhi, e assorbire una nuova prospettiva sulla realtà, che si incastra meravigliosamente con le vette innevate circostanti, slanciate oltre i 7000 metri verso il cielo.
Il Ladakh è terra di aria sottile, è qui che si trovano le strade carrozzabili più alte del mondo, come il leggendario passo del Kardung-la, 5300 metri di quota: qui anche in piena estate le temperature sono sotto zero e l’esercito deve spazzare la neve ad ogni perturbazione, creando sovente ingorghi veri e propri là dove l’ossigeno sembra sfuggire ai polmoni, specialmente di chi arriva da quasi 2000 metri più a valle, dove si trova la capitale della regione, Leh.
Una natura sontuosa, montagne rocciose scure, vallate scavate da fiumi di un intenso color ceruleo. Un’atmosfera di pace che pare isolata dei rumori del mondo, indisturbata persino dal continuo via-vai di pattuglie militari dai confini più delicati della grande India. Viaggiando, studiando, e conoscendo questo luogo e la sua cultura, è impossibile non accorgersi che la personalità di queste montagna è simile a quella di un vecchio saggio che osserva il mondo in silenzio, che non proferisce giudizio, che medita attentamente ogni respiro, ogni suono, ogni parola. Difficile, per un semplice viaggiaotre, stabilire se siano stati secoli di uomini in meditazione a dargli questa atmosfera, o se piuttosto siano le montagne a favorire quello stato mentale, ma ciò che lascia nel cuore un viaggio in queste valli è quella calma che tutti saremmo felici di replicare nella nostra vita, anche nel mezzo di una metropoli affollata o circondati da una società impazzita, una calma di cui è intrisa quell’aria sottile che profuma di una pace che non conosce confini, l’aria degli alti passi delle montagne del Ladakh.