Il caso. Roma, quel pasticciaccio brutto delle foibe
Poche idee ma confuse... Ignazio Marino prima maniera: «Roma onorerà sempre la tragedia della Foibe – disse il primo cittadino di Roma solo lo scorso agosto –: l’impegno mio personale e della mia giunta farà sì che la memoria sulle Foibe e sull’esodo non conosca mai l’oblio né occupi un posto di secondaria rilevanza nel ricordare le folli tragedie del nostro recente passato». Un mea culpa reso necessario dall’improvvida esternazione del suo braccio destro, il vicesindaco Luigi Nieri (Sel), che poco prima aveva profetizzato (facendosene un baffo di una legge nazionale): «Altre città ricorderanno le foibe. Non certo Roma!». Profetizzato, perché nonostante le scuse e i chiarimenti di Marino, oggi dobbiamo dire che proprio Nieri ci aveva preso in pieno, l’unico a dire la verità sulle intenzioni della giunta Marino: ieri infatti la Commissione scuola del Comune di Roma ha presentato il documento con cui cancella i cosiddetti viaggi della Memoria, istituiti da cinque anni proprio per far conoscere ai ragazzi delle scuole i luoghi del Nordest italiano e immediatamente fuori dal confine nazionale (Slovenia e Croazia) in cui durante e dopo il secondo conflitto mondiale avvenne il genocidio degli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia. Una decisione improvvida, non solo perché segna la prima celebrazione targata Marino, ma anche perché arriva proprio nel decennale della legge istitutiva del "Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo" (30 marzo 2004), quando cioè ci si sarebbe aspettati un intensificarsi delle iniziative, raccomandate dallo stesso presidente della Repubblica Napolitano e dalle alte istituzioni dello Stato. A denunciare il fatto, ieri mattina, il capogruppo di FdI in Campidoglio, Fabrizio Ghera, e l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, che in realtà parlavano di «azzeramento dei viaggi scolastici alle foibe e dimezzamento di quelli ad Auschwitz», con una duplice offesa dunque alla memoria di entrambi gli olocausti che hanno insanguinato il nostro Novecento. «Apprendiamo con sconcerto la decisione di dimezzare i fondi per i viaggi della Memoria della Shoah e contemporaneamnte annullare del tutto quelli per i viaggi alla Foiba di Basovizza (Trieste) e in Istria e Dalmazia», hanno subito commentato gli esuli stessi del "Comitato 10 Febbraio" (data appunto del Giorno del Ricordo), notando tra l’altro come per Marino esistano evidentemente «due pesi e due misure», dato che «è già deplorevole tagliare i percorsi della Memroia, ma cancellare la possibilità di effettuare quelli per conoscere una storia negata per oltre 60 anni è di una gravità inaudita, specie se a farlo è la capitale d’Italia», che tra l’altro comprende un popoloso quartiere giuliano-dalmata, abitato dai profughi scampati alle foibe di Tito.
A metterci una pezza ci ha pensato l’assessore romano alla Scuola, Alessandra Cattoi, che però ha peggiorato la gaffe: «Non è vero che abbiamo dimezzato i fondi per Auschwitz per il 2014. Lo scorso ottobre abbiamo portato in Polonia ben 24 scolaresche romane perché la memoria è e deve essere sempre parte della formazione dei giovani». «Non solo, abbiamo introdotto anche il viaggio a Ferramonti (Cosenza) come testimonianza dei campio di concentramento anche in Sud Italia». Salva la Shoah, allora. Ma le Foibe? «Le polemiche sono prive di fondamento: abbiamo già disposto per il 10 febbraio la deposizione di due corone d’alloro, accompagnata dalla banda»... Il Giorno del Ricordo – lo ripetiamo – è il 10 febbraio, ma la giunta di Marino «sta riflettendo sulle modalità più opportune per celebrarlo con le scuole». Viaggi tagliati, dunque. Ecco allora, solo in serata e con un trafelato twitter, il Marino seconda maniera: "Siamo in contatto con la Società di Studi Fiumani per celebrare il Giorno del Ricordo con le scuole romane". Punto. Questa la risposta alle mille voci che si appellavano perché non facesse scempio, a soli dieci anni dall’istituzione, di una delle conquiste di civiltà più sofferte e più meritorie di questa nazione. Era solo il 2007 quando Napolitano, il 10 febbraio, ammetteva commosso «la congiura del silenzio» che per 60 anni aveva censurato la storia più tormentata d’Italia: «Anche di quella congiura non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità di aver negato o ignorato la verità per cecità politica». Solo 7 anni e sembrano settanta.