Torna a Palazzo Chigi nel giorno dell’Epifania, Matteo Renzi. Lo attendono ore di fuoco e il premier intende attrezzarsi. Messo sotto tiro dopo il caos per il 'salva-Berlusconi', oggi il premier farà il punto con il ministro dell’Economia Padoan. Ma l’incontro non serve tanto a sciogliere i nodi, cosa che il presidente del Consiglio ha già fatto ancora una volta senza consultarsi con nessuno, quanto piuttosto a riannodare i fili intrecciati. L’idea è quella di mantenere il pallino nelle sue mani, fino alla fine delle delicate partite delle riforme e dell’elezione del capo dello Stato. Così il decreto fiscale della discordia slitta al 20 febbraio. Una soluzione che riesce a scontentare un po’ tutti, senza soddisfare nessuno. Il premier, però, è furioso per la polemica di inizio anno. «Se questi pensano di tenermi sotto scacco con la scusa del presidente della Repubblica non mi conoscono. Non ho nessun problema a eliminare la frode dal 3 per cento, ma non mi faccio dettare l’agenda o gli ordini del giorno dalla minoranza del Pd. Non è una norma salva Berlusconi, si può cambiare e io non sono interessato, ma non mi faccio fare la morale da chi in nome dell’antiberlusconismo ha fatto governare Berlusconi per anni», tuona. Poi prende carta e penna virtuali e lo spiega sulla sua 'e-news'. «Per evitare polemiche – sia per il Quirinale, che per le riforme – ho pensato più opportuno togliere di mezzo ogni discussione e inserire anche questo decreto nel pacchetto riforme fiscali del 20 febbraio», scrive. Il capo del governo continua a ritenere fondamentale la riforma e sensata la
ratio del provvedimento di Natale. L’articolo 19 bis del decreto fiscale è «una norma semplice che rispetta il principio di proporzionalità. Si può naturalmente eliminare, circoscrivere, cambiare», scrive. Ma non ha niente a che vedere con l’ex Cavaliere: «Noi cambiamo il fisco per gli italiani, non per Berlusconi. Senza fare sconti a nessuno, nemmeno a Berlusconi, che sconterà la sua pena fino all’ultimo giorno». Insomma, se il ragionamento ci sarà a fine febbraio è perché nell’intenzione di Renzi il rinvio equivale a eliminare un elemento di tensione, nell’attesa di quello che considera «un passaggio storico», vale a dire l’approvazione delle riforme, e in particolare la fine del bicameralismo. «Il Presidente Napolitano ha detto che il bicameralismo paritario è stato il più grande errore dell’Assemblea Costituente. La pensiamo come lui. Da domani (oggi,
ndr) alla Camera, con tempi contingentati per finire entro gennaio la seconda lettura», sintetizza sul web. E dopo un nuovo tributo al capo dello Stato, Renzi elimina ogni traccia di un ipotetico identikit del successore. «Il Presidente della Repubblica. Chi sarà? Cosa farà? Ma sarà politico o tecnico? Uomo o donna? Di maggioranza o di opposizione? Domande legittime che rimbalzano nelle stanze romane. Ormai è il passatempo preferito degli addetti ai lavori. Capisco e non commento». E nelle grandi riforme renziane ci sta ovviamente il suo 'Jobs act', per rimettere in moto l’occupazione. «Fatti i primi decreti delegati affrontiamo il 2015 con le novità della legge di stabilità: chi quest’anno assume a tempo indeterminato non paga contributi per tre anni». C’è poi il riordino della Pa e le «non banali novità » dell’Inps, «all’insegna della trasparenza». In breve, «i bravi saranno premiati» e i «furbetti » diranno addio alle «rendite di posizione».