Dopo le elezioni. Le Pen: «Referendum per uscire dalla Ue»
FISCHIA IL VENTO ANTIEUROPEISTAI primo a cogliere la portata del voto alle europee, con l’occhio rivolto anzitutto alla Francia, è stato Mario Draghi. Il presidente della Banca Centrale Europea, parlando da Sintra, in Portogallo, già domenica sera avvertiva: «Gli elettori in tutta Europa si sono chiaramente allontanati, vogliono risposte». Ieri gli facevano eco, a ruota il presidente dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem: occorre, diceva, una «nuova fase che dovrà concentrarsi sulle riforme, investendo i parlamenti nazionali della modernizzazione dei Paesi. Non possiamo accettare questi bassi tassi di crescita». Il vento dell’antieuropeismo sta in effetti scuotendo i piani alti dell’Ue, imponendo di cambiare agenda e dare risposte forti alle ansie dei cittadini. Un vento che si chiama anzitutto risposta alla crisi, alla disoccupazione, alla crescita che langue in Paesi cruciali come Francia e Italia. Lo stesso cancelliere Angela Merkel a Berlino ieri ha dichiarato che la migliore risposta all’avanzata degli anti-euro è «crescita e competitività». E di crescita e occupazione parlando ormai un po’ tutti, anche i famosi Spitzenkandidaten, i “candidati di punta” alla presidenza della Commissione Europea. A cominciare dagli attuali due diretti sfidanti, l’ex premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, per i Popolari e considerato in “pole position” per diventare nuovo presidente della Commissione visto che il Ppe ha vinto le elezioni, e il presidente uscente del Parlamento Europeo Martin Schulz per i Socialisti europei. Entrambi parlano della necessità di più crescita e occupazione, con una differenza sostanziale: il particolare accento di Juncker, in salsa assolutamente tedesca, della necessità dei conti in ordine e nessuna deroga al Patto di stabilità. Non piacerà ai milioni che hanno votato Tsipras a sinistra, o Le Pen a destra. E anzi preoccupa un po’ vari osservatori il fatto che Juncker mostri totale chiusura nei confronti degli elettori delle destre antieuro. «Non dimentichiamo – ha detto – che due terzi degli elettori non li hanno votati, e se io da presidente cercassi di dare risposte agli euroscettici, non ne darei agli altri elettori». Soprattutto, non è la posizione di Draghi o Dijsselbloem. E non è certamente quella di Parigi e Roma. Non a caso il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in vista della presidenza di turno dell’Ue che l’Italia assume dal primo luglio, ha parlato della necessità di un «programma» prima di pensare ai nomi. E di programma hanno parlato anche i socialisti europei. Lo stesso Schulz ha ammesso che «Juncker ha il diritto di provare per primo a trovare una maggioranza» nel Parlamento Europeo, ma ha poi precisato che gli eurosocialisti pretendono di vedere nel suo programma loro punti chiave: primo fra tutti la lotta alla disoccupazione, misure per la crescita e lotta all’evasione fiscale. Altrimenti, dicono, non ci sarà maggioranza all’Europarlamento. A Bruxelles tutti scommettono che alla fine la soluzione sarà anche qui “alla tedesca”, visti oltretutto i numeri: una Grande Coalizione Ppe-Pse, cui magari parteciperanno anche i liberali, che non rinunci ad alcuni punti di disciplina fiscale ma dia più spazio alla crescita. Crescita che sarà al centro della futura presidenza italiana, e certamente Matteo Renzi in questo avrà un alleato in François Hollande. Quest’ultimo, però, dopo l’umiliante batosta elettorale delle europee non è più a pari livello con il cancelliere tedesco Angela Merkel, che invece ha sostanzialmente tenuto. Tuttavia il presidente francese sa bene che solo con la ripresa in Europa e in Francia potrà avere qualche speranza di recuperare terreno e toglierne alla Le Pen. La Germania è cosciente già da mesi di questa situazione, del resto al governo di Berlino siedono ora anche i socialdemocratici, molto più attenti a questioni come occupazione e crescita. «La nuova leadership Ue – commentano due economisti del think-tank Bruegel di Bruxelles, Guntram Wolf e André Sapir – deve sviluppare una convincente strategia europea di crescita. E per questo i leader Ue dovranno non solo eleggere una leadership in grado di ottenere risultati, ma anche darle il forte mandato di concentrarsi su questi risultati». Altrimenti le elezioni del 2019 potrebbero essere ancora più disastrose.