La storia. Fiori, sogni e quell'abbraccio Il vero miracolo dei corridoi
L’abbraccio tra Simon e Rodeina, che si sono rivisti ieri dopo due anni (Ansa)
Nel viaggio che li ha portati da Beirut a Roma hanno imparato a ringraziare nella nostra lingua e ad esprimere la loro gioia con poche parole: «Viva l’Italia ». Lo gridano i bambini, quando entrano nel gate dell’aeroporto di Fiumicino tenendo in mano palloncini colorati e lo striscione 'Benvenuti in Italia'. Per 58 profughi siriani da anni nei campi di accoglienza libanesi, la metà bambini, il sogno di una nuova vita si è avverato grazie ai corridoi umanitari promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche (Fcei) e Tavola valdese, in collaborazione con Viminale e Farnesina. Dal 2015 con questo modello legale e sicuro del Mediterraneo sono arrivate in Italia più di 2.500 persone, alle quali vanno aggiunte quelle giunte grazie ai 'corridoi' promossi dalla Cei.
Accoglienza diffusa che si fa integrazione. Per ora, la parola giusta è ricongiunzione. Di famiglie e di coppie. Come quella Simon, 25 anni, originario di Homs, arrivato con un corridoio umanitario due anni fa. Accolto dalla Comunità di Sant’Egidio, oggi parla italiano e lavora in un ristorante. Freme nel vedere la porta chiusa degli arrivi, in mano ha un mazzo di fiori. Sono per la sua fidanzata Rodeina, anche lei di Homs. Bloccata in Libano dal 2017, Simon ha fatto di tutto per farla arrivare e, ora che è al sicuro in Italia, la stringe a sé tra le lacrime. Il sogno di questi due giovani è quello di tutti i ragazzi della loro età: sposarsi ed essere una famiglia. Ma c’è un altro mazzo di fiori tra chi attende l’arrivo del volo.
Lo tiene in mano Majd, che insieme al marito Naher e la loro figlioletta di un anno Razan, aspettano un pezzo della loro famiglia. Sono arrivati in Italia sei mesi fa con un altro corridoio umanitario e per ringraziare l’Italia Majd indossa un velo con i monumenti di Roma. Sono qui a Fiumicino per accogliere la sorella di lei e i suoi 4 figli. Per loro è già pronta una casa grande a Fiano Romano, «dove potremo finalmente vivere insieme». Arrivano invece da Aleppo Waafà e Mohammad Dib e i loro tre figli. In Libano da sette anni, non avevano i soldi per poter mandare a scuola i bambini e dare loro le migliori cure.
«Siamo felicissimi di essere finalmente in Italia – dicono – Lo speravamo da tanto». Tra le storie che si intrecciano nella sala d’attesa di Fiumicino c’è anche quella di una solidarietà speciale. L’accoglienza Anna Pagliaro di Cosenza che nel 2017 ha 'adottato' una famiglia siriana armena, oggi perfettamente integrata in Calabria, ed ora è qui per accogliere in una casa tutta loro una coppia di giovani musulmani scappati da Idlib, Maher e Fatima, e i loro quattro figli. Aveva sentito parlare dei corridoi dalla tv e il progetto l’ha subito convinta. «Il mio è un atto di fede – racconta – ma ho trovato subito grande risposta da parte di tante associazioni ». Il messaggio per chi volesse fare il suo stesso «tuffo nel buio» è chiaro: «È possibile osare, perché oltretutto ne vale la pena». Firenze, Genova, Roma, Cosenza, Benevento. Le città che li accoglieranno, dimostrando che se «il mondo sul tema dei profughi è diviso», oggi «trovate ad aspettarvi un Paese unito – dice il presidente della Comunità di Sant’Egidio Marco Impagliazzo – i corridoi umanitari mostrano la nostra grande tradizione umanistica, civile e cristiana». Come sono anche la dimostrazione che «fare bene il bene è possibile».
Chi è appena atterrato, infatti, è «una piccola fonte di speranza che vorremmo diventi un grande fiume di solidarietà europeo». Un modello che «la Farnesina sostiene con forza – spiega il sottosegretario agli Esteri Emanuela Del Re – e che vogliamo portare in Europa». Come nella parabola del buon samaritano, aggiunge Luca Maria Negro, presidente della Fcei, «non possiamo voltare la faccia dall’altra parte e dando il benvenuto a queste persone ci viene da pensare a chi non ce l’ha fatta». I corridoi umanitari invece, aggiunge Alessandra Trotta della Tavola valdese, rispondono «a criteri umanitari di giustizia, efficace, sostenibile, quindi replicabile».