I nodi da sciogliere. Che fine hanno fatto gli impegni per i figli?
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Che fine hanno fatto le politiche familiari e le misure per sostenere la natalità? Nei confronti tra le forze politiche in cerca di convergenze per una nuova maggioranza di governo il tema famiglia è scomparso. In questi giorni si sono ascoltate dichiarazioni dei leader politici, si sono diffusi decaloghi, liste di cinque condizioni per un accordo, poi di tre... ma ufficialmente di figli, famiglia, natalità non si è mai parlato. Eppure, la questione demografica dovrebbe essere uno dei punti principali di un governo che voglia caratterizzarsi per serietà e responsabilità.
L’assenza del tema natalità in questa fase di crisi è emblematica. Prima delle elezioni politiche del 4 aprile 2018 tutti i partiti avevano promesso e inserito nei rispettivi programmi misure consistenti di sostengo alle famiglie con figli. Già nel Contratto di governo Lega-M5s le misure per la famiglia erano però state diluite a poche indicazioni e vaghe proposte. Con l’avvicinarsi delle elezioni europee del 26 maggio 2019 il tema figli è però tornato improvvisamente d’attualità.
Nella prima metà di aprile il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana aveva infatti annunciato una riforma organica del welfare familiare, e l’11 aprile alla Camera erano state votate due mozioni, della maggioranza e dell’opposizione (che avevano perso l’occasione politica di una convergenza), a favore di misure pro-famiglie, in particolare sull’ipotesi dell’introduzione di un assegno unico per i figli – come richiesto dal Forum delle Famiglie. Ai primi di maggio il vice premier Luigi Di Maio aveva poi lanciato la proposta di una Commissione permanente sulla famiglia presso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, aperta al Forum e a tutti i partiti. E in quel contesto aveva ipotizzato di destinare più di 1 miliardo a un primo modulo di aiuti alla natalità, prelevandoli dai risparmi del Reddito di cittadinanza.
Anche il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, in una puntata primaverile di 'Porta a Porta' aveva parlato di un’idea di assegno da 200 euro al mese a figlio. Tuttavia, nonostante ampie convergenze teoriche, l’argomento Famiglia&Figli ha continuato a essere questione più divisiva che unificante.
Lo si è visto bene dopo il voto europeo, quando il tema è tornato di nel dimenticatoio, nonostante alcuni impegni generici in vista della manovra per il 2020. In realtà, una fiammata c’è stata, prima della crisi di governo, quando il ministro della Famiglia Lorenzo Fontana ha annunciato un piano per un assegno unico da 100-200 euro al mese a figlio. Tutto bene? No, perché il M5s ha definito immediatamente la proposta Fontana un «giocare alla tombola», scatenando l’ira dell’alleato. E altre forze politiche si sono spinte a consigliare al ministro di convergere su proposte identiche già in discussione alla Camera, come il disegno di legge Lepri (Pd) per l’assegno e la dote unica a favore dei figli a carico.
Un fuoco di paglia, in ogni caso, perché Fontana pochi giorni dopo è diventato ministro per gli Affari Europei, lasciando il dicastero per la Famiglia (e la disabilità) ad Alessandra Locatelli. Le nascite nel nostro Paese calano di anno in anno. Restiamo l’unico Paese Ue a non avere un assegno universale per i figli e siamo in coda quanto a politiche di conciliazione e servizi di cura. Nel 2030 in Italia l’età media della popolazione salirà a 50 anni. Saremo il secondo Paese più vecchio al mondo, dopo il Giappone. Un problema serio per la sostenibilità del sistema sociale. Le forze politiche hanno dimostrato di avere consapevolezza del problema. Perché allora questo silenzio? Forse la convergenza più chiara sui temi ambientali implica che si rinuncia a sostenere la natalità pensando così di tagliare le emissioni di CO2? Finora l’utopia populista non era arrivata a tanto.