Roma. Fine vita, una volata a ostacoli
«Penso che si potrebbe chiudere prima di Pasqua: da domani inizia in Aula alla Camera la discussione sugli emendamenti, circa 600, ma poi ci sarà un’interruzione per discutere il provvedimento sui voucher». Mario Marazziti, deputato di Democrazia Solidale e presidente della Commissione Affari sociali che ha consegnato all’aula il disegno di legge sul fine vita, tiene il sismografo del provvedimento che, pur con numerosi punti ancora da chiarire, si avvia all’approvazione della Camera per poi passare al Senato. Il passaggio da marzo – mese dell’arrivo in Aula – ad aprile ha fatto scattare il contingentamento dei tempi, brusco e amaro ma applicato a norma di regolamento. Se però oggi pomeriggio riparte l’esame dei sei articoli e degli assai più numerosi nodi da sciogliere, la giornata di domani nella quale si pronosticava la volata finale vedrebbe invece un rinvio, sebbene solo di giorni.
La legge sulle «Disposizioni anticipate di trattamento » (Dat) – com’è intitolata, con una terminologia che costituisce il primo, evidente problema – potrebbe dunque vedere la luce, in prima lettura, durante la Settimana Santa. A chi difende il ddl sostenendo che non apre all’eutanasia dà ragione Mina Welby, co-presidente dell’Associazione radicale Luca Coscioni, che infatti lamenta l’assenza di una previsione esplicita auspicando «che la prossima legislatura sia invece matura per approvarla». Una significativa ammissione per il presidente del Movimento per la Vita Gian Luigi Gigli, che parla di «legge grimaldello, su cui poi i giudici creativi provvederanno a far leva.
Una visione che nulla ha di sociale ». È questa infatti la principale critica mossa alla legge dai deputati contrari: un’enfasi sproporzionata alle scelte del paziente, col medico relegato a esecutore di volontà indiscutibili. E se qualche modifica su 300 emenda- menti sopravvissuti alla scrematura preliminare qualche modifica (non essenziale) la apporteranno, l’impianto della norma resterà quello che pare poter raccogliere il consenso di quasi tutto il Pd, di M5S, della sinistra e di parte di Forza Italia, con Ap (al governo, ma sulle Dat all’opposizione) e Lega fieramente contrari, anche per non sottostare alla pressione emotiva esercitata sul Parlamento dal caso-Fabo. Un fronte dal quale, peraltro, giungono notizie che non contribuiscono a rasserenare il clima del confronto. Ieri il radicale Marco Cappato, che aveva accompagnato il giovane milanese in Svizzera per darsi la morte, è stato interrogato tre ore in Procura a Milano dai pm Tiziana Siciliano e Silvia Arduini, dichiarando poi che vuole «continuare l’azione che sto svolgendo anche per altre persone».
Si capisce meglio la ferma opposizione al ddl da parte di una componente significativa degli operatori di medicina palliativa: oltre cento di loro hanno infatti sottoscritto un documento nel quale contestano la linea ufficiale della Società italiana di cure palliative (Sicp) che aveva appoggiato la nuova legge. «Prevedere per il medico l’obbligo di ottemperare alle Dat e includere in queste il rifiuto di nutrizione e idratazione (quale 'trattamento sanitario' e 'scelta terapeutica') – scrivono i palliativisti, tra i quali gli ex presidenti Sicp Adriana Turriziani e Giovanni Zaninetta – consente interpretazioni volte a stravolgere quella relazione di cura 'orientata alla qualità di vita delle persone affette da una malattia evolutiva inguaribile', ai sensi dello Statuto Sicp e dello stesso Codice di deontologia medico, che orienta la medicina univocamente alla tutela della vita, della salute e al sollievo della sofferenza ».
Inoltre «se è certo che nessuna cura è possibile contro la volontà espressa del paziente (e che, in taluni casi, come negli ultimi giorni di vita, la nutrizione e l’idratazione potrebbero non apportare alcun beneficio al morente), è altrettanto certo che il rifiuto anticipato e slegato da qualsiasi contesto clinico, della nutrizione e idratazione, così come di altre terapie, con effetto vincolante per il medico, rischia paradossalmente di porsi in contrasto non solo con l’autonomia professionale del medico ma anche con l’autonomia effettiva del paziente. Tali disposizioni aprono di fatto al rischio di abusi, come è evidente nei confronti di soggetti particolarmente deboli, come i pazienti con capacità cognitiva compromessa (pazienti in stato vegetativo, pazienti affetti da demenza, da Alzheimer, ecc.)».
Ma non basta: «Si profila una distorsione della medicina palliativa, ove questa si riduca a essere il rimedio di emergenza che si attiva nel momento del rifiuto incondizionato del paziente della terapia in corso». La Camera saprà ascoltare questi rilievi nati dall’esperienza?