Biopolitica e società. Infermieri: «Fine vita, nessuno resti solo»
A prendersi cura dei malati sono anzitutto loro, sempre al letto di chi soffre, specie al momento delle scelte decisive Le professioni infermieristiche ora prendono la parola con un testo di impronta solidaristica
Al convegno nazionale promosso di recente dall’Ufficio nazionale della pastorale della salute della Cei a Caserta, la presidente del Fnopi, la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche Barbara Mangiacavalli lo aveva dichiarato con fermezza: nel nuovo Codice deontologico «abbiamo rimarcato che non siamo per l’eutanasia perché in ogni caso salvaguardiamo la vita». Ora gli infermieri hanno deciso di chiarire il proprio ruolo nell’applicazione della legge 219 del 2017 («Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento») – nota come legge sul 'fine vita', sul 'biotestamento' o 'sulle Dat' – stilando un documento specifico in cui si traccia il per- corso dell’assistenza nelle scelte del paziente relative alle cure da concordare oppure ottenere di sospendere o non praticare affatto.
Le figure professionali infermieristiche lo fanno partendo da un dato di fatto: a prendersi cura dei pazienti, nei momenti di sofferenza e di ma-lattia, sono soprattutto gli infermieri, parte determinante dell’équipe sanitaria cui fa cenno la 219 senza mai citarli esplicitamente. Eppure, nel percorso di assistenza gli infermieri probabilmente sono i primi a entrare in relazione piena e continuativa con i pazienti e a percepire che certe situazioni di fragilità, di perdita di libertà e autonomia rappresentano in effetti «un fenomeno complesso che può generare grandi sofferenze» – come si legge nel documento «La disciplina infermieristica all’interno della legge 219/17» pubblicato in questi giorni – proprio perché «si prova paura a non ricevere le cure e l’aiuto necessario, si prova ansia nel mettere a disagio i propri cari e ci si sente spesso un peso per gli altri». Ed è proprio «questo tipo di sofferenza che può portare il paziente a decidere di rifiutare o revocare i trattamenti in atto».
Gli infermieri, si precisa infatti nel testo messo a punto da un comitato ristretto di esperti, «sono i professionisti che dedicano più tempo accanto ai pazienti e alle famiglie nei diversi contesti di cura e questo offre loro l’opportunità di sapere e poter cogliere le tante sfumature degli innumerevoli problemi di salute che condizionano la vita di una persona e le sofferenze che possono generare». Spesso si crea infatti «una relazione di continua vicinanza con la persona assistita, in modo specifico in tutte quelle situazioni in cui la stessa non è più in grado di soddisfare i propri bisogni autonomamente, non soltanto perché fisicamente fragile, ma spesso anche quando non è più in grado di attribuire a questi atti un senso e uno scopo esistenziale». Nei momenti di estrema sofferenza, «gli infermieri – si rimarca – possono fare la differenza: i loro atteggiamenti nei confronti della persona possono diventare ostacolanti o favorenti l’accettazione della situazione e possono permettergli di elaborare l’esperienza di dipendenza in modo positivo ed accettabile o in modo negativo e insopportabile».
La sofferenza, del resto, è «una condizione che coinvolge l’esperienza della persona e anche della sua famiglia» e non può essere «risolta esclusivamente con i farmaci, che in ogni caso vanno garantiti e resi disponibili secondo le recenti e aggiornate evidenze scientifiche ». Anche se, si sottolinea nel documento, quanto alle cure palliative manca ancora un’adeguata informazione dei pazienti, oltre che una capillare disponibilità in tutte le strutture sanitarie.
La legge 38 del 2010 (Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore) «richiama quale prima finalità la tutela dell’accesso alle cure mettendo implicitamente in evidenza che – si legge nel documento Fnopi – ancora è un diritto non corrisposto a tutti i cittadini che ne hanno necessità, pur avendolo inserito nei Lea (livelli essenziali di assistenza) », con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio del 2017. Rifacendosi inoltre al loro nuovo Codice deontologico, gli infermieri ribadiscono infine la libertà di far valere la propria libertà, con la cosiddetta 'clausola di coscienza' nei casi in cui «sia richiesta un’attività 'in contrasto con i valori personali, i principi etici e professionali'».
«Speriamo che con questo documento – sintetizza la presidente nazionale Mangiacavalli – gli infermieri italiani possano trovare una guida per contribuire a favorire sempre di più le condizioni idonee per poter permettere alla persona di fare le scelte migliori sulla propria salute, sulla malattia e quindi sulla propria vita, ribadendo che la persona (sana o malata), nel rispetto della sua autonomia, non deve essere lasciata sola nelle scelte che potrà o dovrà compiere».