Senato. Biotestamento, presentati più di 3mila emendamenti
Il treno è stato messo sui binari ma la stazione d’arrivo è ancora lontana. Come previsto, la legge sul fine vita ieri ha fatto ingresso nell’aula del Senato grazie al forcing dei capigruppo di Pd e M5S che hanno invertito il calendario proposto dal presidente di Palazzo Madama, Pietro Grasso, il quale avrebbe preferito iniziare l’ultimo scorcio di legislatura con lo ius culturae invece messo in coda in calendario. Ma stamane l'Aula del Senato ha bocciato le pregiudiziali di costituzionalità, dando avvio alla discussione del testo e fissando la scadenza per la presentazione degli gli emendamenti, che hanno superato quota 3mila. Ma il percorso si annuncia accidentato, con le dichiarazioni di voto molto lunghe da parte delle forze del centrodestra, che sono solo la premessa di un ostruzionismo che si concretizzerà la settimana prossima, quando l'iter del provvedimento entrerà nel vivo. Tuttavia il presidente dei senatori di Pd, Luigi Zanda, minacciando una nuova capigruppo per modificare ancora il calendario dei lavori, chiede responsabilità alle forze politiche. «Resto dell'idea che il calendario così come ieri è stato definito - spiega - possa essere interamente rispettato prima della pausa natalizia, a partire dal ddl sul fine vita e comprendendo lo Ius soli. A condizione che nessun gruppo organizzi tattiche ostruzionistiche o favorisca artificiose perdite di tempo».
La seduta di ieri ha già comportato un primo slittamento: le votazioni sulle pregiudiziali di costituzionalità e l’inizio della discussione generale sono state spostate ad oggi. Non ci sarà tempo di fare altro, i lavori d’Aula riprenderanno poi martedì prossimo. I tempi complessivi sono un’incognita, così come i numeri reali a favore del provvedimento. Stamattina alle 9 scade il termine per presentare gli emendamenti, ed è da vedere come si comporteranno i gruppi parlamentari contrari al testo. La Lega, ad esempio, potrebbe ripresentare le sue 1.800 proposte di modifica, alla luce del fatto che i lavori in Commissione non sono stati completati. È in corso una trattativa informale tra Pd e Carroccio per evitare che arrivino emendamenti che richiederebbero il voto segreto: la parola finale sulla linea (dura o morbida) della Lega la dirà il segretario Matteo Salvini. I voti segreti sono il fattore più temuto dai dem.
Gli emendamenti in commissione erano circa 3mila, quasi tutti del centrodestra e dei centristi che governano con il Pd. I dem, M5S e sinistra non presentano e non vogliono alcuna correzione, perché in caso di modifiche la legge dovrebbe tornare alla Camera e nei fatti finire sul binario morto, dato il contesto da fine legislatura. Sulla carta, la "strana maggioranza" a favore delle Disposizioni anticipate di trattamento conta tra i 158 e i 175 sì, considerando anche eventuali voti in dissenso dai gruppi. Lo scacchiere dei partiti presenta ancora dei punti interrogativi. Alternativa popolare, il partito di Alfano e Lupi, parte da una posizione contraria ma «vuole vedere nel merito se si apre all’eutanasia» e comunque è propensa a lasciare libertà di coscienza. Forza Italia voterà no e presenterà un centinaio di emendamenti «puntuali», come dice Paolo Romani, lasciando comunque libertà di coscienza. Della Lega, si è detto: nel Carroccio ci sono due anime su questi temi. Se all’ostruzionismo di Idea e delle formazioni più piccole del centrodestra si affiancherà quello del Carroccio, la strada per il provvedimento si farebbe più impervia.
Il voto finale è previsto tra mercoledì e giovedì prossimo, anche perché la settimana prima di Natale il Senato deve affrontare di nuovo la manovra. Sinora il patto tra Pd e M5S sembra tenere. Così come sembra confermato che il governo non porrà la questione di fiducia. Per eludere gli emendamenti, i dem potrebbero attivare uno o più "canguri", stratagemma che fa cadere contestualmente emendamenti simili bocciati dall’Aula.
Ma Grasso ha assicurato spazi veri alle opposizioni, quindi non dovrebbero esserci forzature eccessive. Tra l’altro, i tempi di esame delle Dat potrebbero anche impedire l’esame del nuovo Regolamento del Senato, testo importante sul quale c’è un ampio consenso e che pone dei paletti contro il "trasformismo" parlamentare.
A fare le spese dell’asse Pd-M5S è lo ius culturae, almeno per il momento. Lo stato maggiore del Pd, da Renzi al capogruppo al Senato Zanda, assicura che sino alla fine si proverà a «trovare i numeri». Ma i fatti sono chiari: la cittadinanza agli stranieri è finita in coda al calendario di dicembre, anche dietro provvedimenti "minori".
E la cosa accende la polemica a sinistra. Liberi e uguali (Leu) considera la scelta di tenere appesa a un filo sottile la cittadinanza una «cinica speculazione» da parte del Pd. Anche Campo progressista di Pisapia non gradisce il calendario e avverte i dem in vista delle intese elettorali: le Dat, dicono, non bastano per presentarsi insieme davanti ai cittadini. Il contesto tuttavia è chiaro: lo ius culturae arriverà in Aula solo se ci sarà sulla carta una maggioranza certa come quella che si è palesata sul fine vita, perché Mattarella non vuole in alcun modo che la legislatura si concluda con un voto di sfiducia al governo Gentiloni, governo che dovrà gestire con pieni poteri la delicata fase pre e post-elettorale.