Fine vita. I medici: «Non saremo solo esecutori di un testamento»
«Quando un malato oncologico viene da me, e mi guarda con quegli occhi pieni di paura, io gli rispondo di star tranquillo, perché da quel momento sarò io a farmi carico delle sue angosce. 'Da oggi parte un percorso che faremo insieme', dico loro. Attenzione: questa legge mina in profondità l’aspetto più cruciale della professione medica, la relazione medico-paziente». È accorata la testimonianza di Sebastiano Filetti. Preside di Medicina nel laicissimo ateneo romano della Sapienza è alla Camera, con altri colleghi, per lanciare il grido di allarme di fronte a una legge in avanzata fase di discussione che, oltre ad aprire la strada all’eutanasia, cancella anni di evoluzione della scienza medica.
«Questa legge – spiega – rischia di minare anche il mio compito di formatore dei medici dei decenni a venire. A loro insegniamo una modalità nuova di relazionarsi con i pazienti imparata in questi ultimi decenni ». Sotto accusa l’assolutismo delle disposizioni anticipate di trattamento (Dat) che la legge intende mettere in campo, anche in presenza, magari, di un consenso non adeguatamente informato e che in ogni caso non può tener conto in anticipo delle evoluzioni della scienza medica che possono rendere curabile oggi quel che ieri non lo era. La conferenza stampa è indetta da alcuni parlamentari di varia estrazione. «Ma non siamo qui per un partito, siamo qui per rispondere alla nostra coscienza di uomini contrari al fatto che in Italia venga introdotta l’eutanasia», dice Raffaele Calabrò, medico, parlamentare di Ncd e firmatario di un progetto di legge nella scorsa legislatura con un’impostazione molto diversa. Aderiscono le quattro facoltà romane di Medicina.
In rappresentanza del del Policlinico Gemelli, il professor Pierluigi Granone, trattenuto all’ultimo momento da un’emergenza sanitaria. Esplicito Antonio Pisani, neurologo a Tor Vergata: «Non si possono trasformare gli ospedali in supermarket. Dove un paziente viene e indica la cura cui vuole essere sottoposto, 'o questa o niente'. Se stanno così le cose mi tolgo il camice e dico 'fate voi'. La vera domanda – conclude – è 'chi forma l’opinione del paziente?'». Tema caro pure a Filetti: «Ci stimo dedicando ora anche a informare i comunicatori. Perché un tempo erano i giornalisti a informare i pazienti, oggi invece c’è la Rete, nella quale si trova il bianco, il nero e ogni sfumatura di grigio. Compito della stampa, quindi, oggi diventa saper discernere e orientare». Ma è tutto il fine vita che merita di essere meglio raccontato, investigato. «Posso assicurare che c’è una vastissima letteratura – spiega il neurologo Pisani – che descrive un’attività cerebrale ridotta ma pur sempre rilevante nei malati in stato vegetativo. Le Dat non mi possono imporre di interrompere una vita che ancora c’è». Viene in aiuto l’avvocato Francesco Napolitano, di Casa Iride, che assiste i malati in stato vegetativo (e dove non sono mancati i casi di 'risveglio'): «La nostra è un’esperienza che vive del connubio fra medici e famiglie, che sono le grandi assenti di questo progetto di legge. Provate a chiedere a loro se si può pensare di interrompere ai propri cari l’idratazione e l’alimentazione.
Piuttosto, i tanti che vengono da noi a fare inchieste giornalistiche in questo periodo finiscono per chiedersi 'ma perché non se ne creano altre, di strutture così?'. Ed è una bella domanda seria da fare alla politica». Giorgio Minotti, oncologo e preside di Farmacologia Clinica al Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, si dice a sua volta «molto preoccupato. Viene scardinato così tutto quello che insegniamo agli studenti circa la relazione medico-paziente. I nostri medici non sono preparati a fronteggiare un cambiamento del genere. E c’è tutto un mondo intorno della famiglia che non viene tenuto in alcun conto ». Quanto all’equiparazione dell’idratazione e dell’alimentazione assistite alle terapie, che come tali potrebbero essere rifiutate, Minotti la ritiene «sconsiderata ». Tocca a Gian Luigi Gigli, deputato di Demos, presidente del Movimento per la Vita e medico a sua volta, chiamare in causa il «clamorosamente latitante» Ordine dei medici. «Siamo di fronte a un tentativo di stravolgere la professione sanitaria. Un medico non può farsi complice degli istinti suicidari».