Adozione. Figli non riconosciuti, la legge alla stretta finale
Sostenitori e aderenti al Comitato per il riconoscimento delle origini biologiche
Ore decisive per la decisione del Senato Il provvedimento è già stato approvato dalla Camera nel giugno 2015. Poi la lunga stasi A pochi giorni dalla fine della legislatura, il traguardo potrebbe essere a portata di mano Ore decisive per il progetto di legge che permetterà ai figli non riconosciuti alla nascita di ritrovare la madre attraverso il tribunale solo con il suo consenso e solo dopo il compimento dei 25 anni. Già approvato alla Camera nel giugno 2015, superato lo scoglio della commissione Affari costituzionali in Senato, il progetto è fermo da molti mesi alla commissione Bilancio di Palazzo Madama. Ora però – anche grazie agli articoli pubblicati sul nostro giornale e su altri media – sembra che al provvedimento possa essere impressa l’accelerazione conclusiva. Martedì è prevista in Commissione Bilancio la seduta che dovrebbe licenziare il disegno di legge n.1978 intitolato 'Modifica dell’articolo 28 della legge 5 maggio 1983, n.184, e altre disposizioni in materia di accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita'. Naturalmente per gli aspetti legati alla sostenibilità economica della legge. Poi, subito dopo, il disegno passerà alla Commissione Giustizia. E dovrebbe trattarsi della tappa decisiva. Se verrà decisa la cosiddetta sede deliberante, il provvedimento potrà essere votata e approvata già in commissione, senza passare dall’Aula. A pochi giorni dallo scioglimento delle Camere, sembra che tra le forze politiche sia stato raggiunto un accordo di massima. Rimangono piccole divergenze che non dovrebbero aprire la strada a modifiche. Perché, in quel caso, il provvedimento tornerebbe in seconda lettura alla Camera e, nella prossima legislatura, viste le incertezze del quadro politico, c’è il rischio di dover ripartire 'quasi' da zero. In vista del rush finale, il Comitato per il riconoscimento delle origini biologiche – che in questi anni ha accompagnato con iniziative, dibattiti e pubblicazioni l’iter del provvedimento – ha rivolto un appello ai parlamentari: «Non cancellate le speranze di oltre 400mila figli non riconosciuti alla nascita. Lasciateci riconquistare la nostra identità».
Approdo in vista, dopo anni di attesa, per la legge sul riconoscimento delle origini biologiche, Ma se le forze politiche sembrerebbero d’accordo – condizionale obbligatorio – sulla necessità di licenziare definitivamente il provvedimento, i pareri del mondo associativo appaiono tutt’altro che unanimi. Accenti diversi. Sarebbe il caso di dire paradossalmente diversi, perché nessuno nega la necessità di riconoscere alle cosiddette 'madri segrete' e ai figli non riconosciuti alla nascita i medesimi diritti. Senza ledere in alcun modo la volontà delle donne che decidono di partorire in anonimato. E, d’altra parte, senza rischiare di aprire la strada a situazioni che possano determinare un aumento delle interruzioni di gravidanza. «Per noi l’approvazione del disegno di legge sarebbe un traguardo eccezionale – ammette Anna Arecchia del 'Comitato per il riconoscimento delle origini biologiche – anche se nell’articolato rimangono due punti che non ci convincono. Innanzitutto l’obbligo di bloccarne di fatto l’entrata in vigore ancora per un anno, dopo l’approvazione definitiva, per dare modo di informare le madri della possibilità di rifiutare preventivamente l’interpello, ancora prima della richiesta del Tribunale. E poi non ci va bene il divieto assoluto di un secondo interpello, dopo un primo rifiuto, anche a distanza di anni». Secondo Arecchia, lei stessa figlia adottiva che per decenni ha cercato i genitori biologici, si tratterebbe di una 'cautela' eccessiva e sbilanciata verso un diritto di riservatezza, quello delle madri, dal momento che dopo molti anni è possibile che opinioni e condizioni esistenziali possano cambiare.
Del resto, come detto, l’esigenza di bilanciare nel modo più equo possibile il diritto della donna all’anonimato e quello del figlio a ripercorrere a ritroso il percorso delle proprie origini, rimane il punto dolente di una normativa, comunque delicata e complessa. Perché delicati e complessi sono gli snodi di esistenze che hanno conosciuto la sofferenza dell’abbandono e la delusione del rifiuto. Le riserve più esplicite al disegno di legge sono tuttora avanzate dall’Anfa (Associazione figli adottivi e affidatari). «Per noi è inaccettabile che le donne che hanno espresso la volontà dell’anonimato al momento della nascita del figlio vengano contattate anche a distanza di anni, perché – argomenta la presidente Donata Nova Micucci – la massima riservatezza, pur annunciata dal disegno di legge, non potrà mai essere davvero garantita. Quante gente potrà sapere di queste ricerche? L’ufficio anagrafe? Il personale del Tri- bunale? Sarà impossibile operare davvero con quella segretezza indispensabile».
Altro punto conteso il rischio di un incremento degli aborti. Per le donne incerte sulla sorte del figlio che portano in grembo, la consapevolezza che a distanza di 25 anni potranno essere interpellate per sapere se confermano o meno la scelta dell’anonimato, potrebbe rischiare di spingerle verso l’interruzione di gravidanza? Il 'Comitato per il riconoscimento delle origini biologiche' ed altre associazioni escludono questa ipotesi. Nei Paesi dove la legge è in vigore da anni non c’è stato alcun incremento di aborti per questi motivi. Certo, nessuno può escludere – come paventa non solo l’Anfaa – che a crescere siano gli aborti clandestini, ma qui è davvero impossibile avere il conforto delle statistiche.
Anche il numero effettivo dei figli abbandonati alla nascita rimane terreno di scontro. Oltre 400mila, come ritiene il 'Comitato per il riconoscimento delle origini biologiche'? O meno di 90mila – che sarebbe comunque un numero ragguardevole – come sostiene l’Anfaa? Dipende dal periodo in cui si fa partire il conteggio. Dagli anni Trenta sembrano ragionevoli le stime più importanti. E sono ancora decine di migliaia le persone nate in quei decenni che vorrebbero almeno deporre un fiore davanti alla tomba della madre.
Diversità di opinioni che, al di dei numeri, sembrano fondare su letture diverse per quanto riguarda la costruzione dell’identità. Per un figlio abbandonato alla nascita sono più importanti i legami di sangue o quelli che si creano nella famiglia adottiva? Marco Griffini, presidente di Aibi, è perentorio: «Quando l’adozione funziona non c’è dubbio. I figli non avvertono la necessità di scoprire le proprie origini biologiche. Abbiamo concluso 3.500 adozioni e nessun figlio hai mai manifestato questo bisogno. E d’altra parte quando c’è questa volontà, i Tribunali per i minorenni hanno la possibilità di verificare le varie situazioni». Più sfumato il parere di Paola Crestani, presidente Ciai: «Dobbiamo trovare la strada per rispettare in modo equilibrato sia il diritto della madre all’anonimato, sia quello del figlio che vuole conoscere le sue origini. Per questo l’interpello della madre dovrebbe essere fatto in modo cauto e rispettoso. Per le donne che vogliono dimenticare, una richiesta che arriva inattesa dopo decenni rischia di tradursi in un trauma. E questo va assolutamente evitato». Preoccupazione che del resto è condivisa anche dal 'Comitato per il riconoscimento delle origini'. Nessuna madre, se non desidera farlo, dovrà essere costretta a confrontarsi con un passato di sofferenza. E le cautele previste dal disegno di legge sembrano scongiurare il rischio. Saranno poi i vari Tribunali a uniformare prassi e metodologie in modo coerente. Ciò che oggi, proprio per la mancanza di una legge, non avviene.