Conti pubblici. Figli, assegno unico da metà 2021
Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri
L’assegno universale per i figli arriverà nel 2021. Ma non da gennaio, forse da metà anno. È l’ipotesi a cui sta lavorando il governo per la prossima legge di Bilancio. Una soluzione che permetterebbe di attendere il via libera del Senato sulla legge delega che istituisce l’assegno unico. E che avrebbe soprattutto il pregio, dal punto di vista dell’esecutivo, di alleggerire il peso finanziario della nuova misura sui conti pubblici del 2021, senza però rinunciare a introdurla. Una conferma, dunque, di un provvedimento molto atteso nel Paese delle culle vuote e della denatalità, come è l’Italia.
Ma anche un mezzo rinvio, guardando la parte vuota del bicchiere, considerando che l’assegno è stato più volte annunciato in partenza con il prossimo anno. Non sarebbe la prima volta comunque che un provvedimento scatta ad anno inoltrato: è successo nel luglio scorso, con il taglio del cuneo fiscale per i redditi fino a 40mila euro. L’assegno precederà la più complessiva riforma fiscale che il governo vuole affidare nei prossimi mesi a una legge de- lega con l’obiettivo di farla partire dal 2022. A questo proposito, nella Nadef appena varata, l’esecutivo sottolinea come «sia necessario procedere alla riduzione, semplificazione e riordino delle spese fiscali» per «assicurare maggiore equità, efficienza e trasparenza al sistema tributario».
Per finanziare il taglio dell’Irpef l’obiettivo è quello di ridurre le tax expenditures che il rapporto allegato identifica in 532 sconti fiscali operativi nel 2020 per un valore complessivo di 62,3 miliardi. Sono escluse dai possibili tagli alcune grandi voci, dalle detrazioni per lavoro e carichi familiari all’Iva agevolata. Il riordino, si afferma, «terrà conto delle conseguenze in termini di efficienza economica, di efficacia, di equità e dei costi amministrativi, anche in relazione ai possibili programmi di spesa che perseguono finalità sovrapponibili».
E sempre a proposito della Nota di aggiornamento al Def va segnalata la polemica a distanza tra il ministero dell’Economia e gli industriali sulle previsioni riguardo agli investimenti pubblici. Ieri il presidente di Confindustria Bonomi ha parlato di «presa in giro» commentando la cifra del 2,7% di investimenti pubblici in rapporto al Pil nel 2021. Una crescita solo apparente rispetto al 2,3% del 2020 considerando la caduta del Pil, è il ragionamento degli imprenditori. Nel pomeriggio è arrivata una precisazione del Mef: gli investimenti pubblici nello scenario programmatico sono previsti salire «ad oltre il 3% del Pil già nel 2021 e poi fino al 4% circa nel 2023» .
«Gli importi esatti potranno essere precisati quando saranno definiti la legge di bilancio e il Recovery Plan. Ma è fuorviante citare l’andamento a legislazione vigente degli investimenti pubblici quando è noto che il governo stia per lanciare un programma aggiuntivo di proporzioni mai viste in precedenza», è il secco commento del ministero guidato da Roberto Gualtieri. Intanto sulle previsioni macroeconomiche della Nadef arriva la “bollinatura” dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Un via libera che contiene una certa dose di scetticismo. L’Ufficio sottolinea infatti la presenza nelle stime sull’andamento del Pil di quest’anno e del prossimo di «significativi fattori di rischio ».
Per il 2020 l’esecutivo ha previsto una riduzione del Pil del 9% e per il 2021 una crescita del 5,1% tendenziale, che salirebbe al 6% programmatico grazie agli effetti delle misure in programma. Quanto agli anni successivi, vale a dire per il biennio 2022 e 2023, che non sono oggetto di validazione, le previsioni del Mef (rispettivamente +3,8 e +2,5%) «appaiono lievemente ottimistiche rispetto all’intervallo accettabile delle stime allo stato delle informazioni attualmente disponibili », aggiunge l’Upb. Secondo i tecnici dell’authority, l’evoluzione di medio termine dell’economia italiana «appare soggetta a rischi ancora molto ampi, nel complesso orientati al ribasso ». Gli scenari avversi «sono riconducibili prevalentemente all’evoluzione della pandemia, in Italia e all’estero, oltre che alle tensioni finanziarie ». Se a causa del Covid «nei prossimi trimestri si rendesse necessaria in Italia una nuova stretta alle attività produttive e agli spostamenti ne deriverebbero conseguenze sia sul ciclo economico sia sulla struttura produttiva».