Le lacrime non può frenarle, ma lei è forte. Tanto che già domenica sera ne era stato «colpito» anche il presidente del Consiglio, Enrico Letta. Ha ventitré anni Martina Giangrande: «Sono giovane e spero in un mondo migliore», dice la figlia del brigadiere Giuseppe, ferito davanti a Palazzo Chigi. «Lavoravo fino a ieri, mi sono licenziata per seguire mio padre», spiega ancora: «L’avevo già fatto per mia madre (morta tre mesi fa,
ndr), ora lo rifaccio per mio padre, com’è giusto che sia». La voce le si incrina, però continua: «Tutti i progetti di vita che avevo fatto già dalla morte di mia madre si sono in un momento stravolti, quindi si ricomincia: altri progetti, altri obiettivi e vedremo di portarli a termine, sperando tutto vada bene».Martina è «fiera e orgogliosa» del padre, «che ha dedicato tutta la sua vita alle istituzioni». Ringrazia tutti, dalla presidente della Camera Laura Boldrini al personale del policlinico Umberto I, all’Arma dei carabinieri («una grande famiglia»). Infine «non so, non credo potrò perdonare. Chi ha perso sono stata io, non lui. Ora non voglio pensarci, non mi interessa».Suo papà è lì, poco distante, nel letto della Terapia intensiva del policlinico. Sempre in prognosi riservata: «La sedazione è stata sospesa», il brigadiere Giuseppe «è vigile, lucido, orientato e in grado di respirare autonomamente per un breve periodo», si legge nell’ultimo bollettino medico di ieri sera. Ma la paura resta: «Sono presenti segni di danno midollare ai quattro arti. Il paziente è stato poi nuovamente sedato e sotto supporto ventilatorio». Linguaggio tecnico, condizioni «stazionarie nella gravità», però un vago ottimismo non rimane del tutto nascosto... Loro pregano e sperano. Certo è che adesso Martina «sta con tutti noi» e «con i cugini, con i colleghi del padre, non è sola, le staremo vicino», fanno sapere Ciro e Pietro, fratelli del brigadiere: «È una ragazza forte e bella, l’abbiamo cresciuta "alla siciliana"», dice Ciro, che fa il barista sull’Isola. «L’unità della famiglia ci dà la forza di andare avanti – aggiunge Pietro, in Polizia a Milano –. Ha perso la madre da poco, adesso si ritrova così... Ma il colpo l’ha assorbito bene».Assai più lontano e in una cella di Rebibbia c’è Luigi Preiti. «Non potevo più mantenere mio figlio», ha raccontato «spesso in lacrime» al suo legale Mauro Danielli, confessandogli la disperazione per un gesto che nemmeno lui si spiega. E che per caso non ha ferito o ucciso un terzo carabiniere, il giubbotto tattico d’ordinanza del quale è stato trapassato da un colpo esploso da Preiti, senza colpire il militare, ma attraversando il portafoglio che aveva in una tasca.Il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il pm Antonella Nespola, titolari dell’inchiesta, sono sicuri che Preiti abbia agito nel pieno delle sue capacità mentali e non sia stato il gesto di un folle, quindi non disporranno perizie psichiatriche. Gli unici dubbi restano sulla pistola, infatti i pm affideranno ai carabinieri del Ris un accertamento sull’arma che Preiti ha detto, in modo confuso e poco convincente, d’aver comprato quattro anni fa al "mercato nero" ad Alessandria. Si vuole risalire alla matricola e capire se sia stata usata per altri reati.Gli inquirenti sono infine anche sicuri che il 49enne manovale calabrese non avesse complici. E per lui, accusato di duplice tentato omicidio, porto e detenzione illegale e uso di arma e munizioni, oggi è in programma l’interrogatorio di garanzia davanti al gip.