Gli slogan sono espliciti: «Sbrigati, non aspettare la cicogna», o «La fertilità è un bene comune» o ancora «Genitori giovani. Il miglior modo di essere creativi». Le immagini non offensive, e più o meno pertinenti. Eppure il lancio della campagna del ministero della Salute sulla fertilità (con il "Fertility Day" fissato per il 22 settembre) solleva un polverone senza precedenti nella nuova "agorà", cioè sui social network. Con l’hashtag #fertilityday che diventa immediatamente “top trend” (argomento scottante) su Twitter e le bacheche di Facebook che si riempiono di commenti sul tema.
Il tono non è quello sperato dal ministero: la maggior parte delle reazioni è totalmente negativa, e perfino firme come Roberto Saviano e Michela Murgia si schierano contro slogan che secondo loro «insultano le donne». Contestata, il ministro Lorenzin ribadisce invece che l’unico scopo della campagna è informare: «Lo slogan del Fertility Day è "conoscere per essere libere di scegliere", non è nostra intenzione fare una campagna per la natalità, ma fare prevenzione perché l’infertilità è una questione di salute pubblica – ribadisce Lorenzin –». Il problema d’altronde è in crescita sia fra le donne che fra gli uomini, come ben dimostrato da un altro dibattito che agita il Paese, quello sulla provetta e in particolare, negli ultimi mesi, sul ricorso all’eterologa. «È stata individuata la necessità di informare le persone – precisa ancora Lorenzin – perché è emerso che spesso manca la consapevolezza dei tempi della fertilità, che varia a seconda delle età».
L'unico scopo della campagna del ministero sul Fertility day è l'informazione. Lo ribadiscono in un comunicato la Direzione Prevenzione e Direzione
Comunicazione. "Il Ministero si prefigge esclusivamente di fornire alla
popolazione e soprattutto ai giovani informazioni e strumenti
utili a preservare la fertilità che può essere inficiata da
stili di vita non sani, comportamenti dannosi sul piano
sanitario, malattie sessualmente trasmesse, ferma restando la
libertà di ciascuno di gestirla secondo le proprie scelte di
vita - si legge -. La prevenzione è la mission del Ministero e
la salute, anche quella riproduttiva, il principale obiettivo.
Le persone , quando sono informate correttamente, possono
operare delle scelte libere e consapevoli. Tale principio, in un
ambito così importante come quello della salute, è di rilevanza
assoluta".
Niente da fare, già a metà pomeriggio molte donne cambiano la propria foto del profilo con la scritta «Io sono mia». «Il #fertilityday è un insulto a tutti – scrive addirittura Saviano –, a chi non riesce a procreare e a chi vorrebbe ma non ha lavoro». Due le critiche principali alla campagna: da una parte si afferma che il problema principale che ostacola la maternità è di tipo economico, dall’altra si accusano gli slogan di colpevolizzare le donne che, per volontà o per altri problemi, non hanno fatto figli, una retorica che richiama secondo alcuni quella fascista. Al coro di critiche si aggiungono anche diverse forze politiche, dal M5s che afferma che «non è che rinunciare a diventare genitori sia una moda da scoraggiare o una consuetudine capricciosa. Non si fanno figli perché non si può», a Sinistra Italiana. Voce fuori dal coro, quella di Paola Binetti, deputata di Area popolare: «Al di là di scelte grafiche o stilistiche, che possono essere riviste, la campagna centra invece il cuore del problema, ovvero che l’Italia è un Paese a crescita zero. Che vi siano oggettive difficoltà per molte famiglie è un fatto. Per questo noi di Ap chiederemo che la prossima legge di stabilità sia improntata tutta sulla famiglia e su questo daremo battaglia».
A garantire che le intenzioni della campagna sono buone interviene a sera anche Eleonora Porcu, specialista della fertilità e capo del tavolo tecnico. «Lo dico come operatore con 30 anni di lavoro, ho visto il dolore delle persone che a un certo punto cercano un figlio e non possono averlo, e spesso perché non erano a conoscenza del funzionamento del proprio apparato riproduttivo». Le fanno eco le parole della Sipps, la Società italiana di pediatria preventiva e sociale, secondo cui «ben vengano le “cartoline”, che vogliono mettere in allerta la popolazione».