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I dati. Fermati dal deserto, dal mare, dalle angherie Dei migranti in fuga solo uno su dieci ce la fa

Ilaria Sesana giovedì 28 agosto 2014
Fuggono da guerre e violenze, da persecuzioni etniche e religiose, da dittature spietate e dalla povertà che affliggono tanti Paesi africani. Tutti hanno un identico obiettivo: costruirsi una nuova vita in un posto sicuro. Un sogno che però si realizza solo per pochi: solo il 10-15% di chi fugge dalla propria casa, riesce a completare questo viaggio e ad arrivare in Europa. Gli altri restano senza soldi a metà del percorso, scelgono di fermarsi in un altro Paese, restano impigliati nelle reti dei trafficanti, oppure muoiono attraversando il deserto. È quanto emerge dal rapporto “Futuri contrabbandati: il pericoloso percorso dei migranti dall’Africa all’Europa” realizzato da ”Global initiative against transnational crime”, una rete che comprende un centinaio di esperti internazionali e regionali indipendenti, che studiano il crimine organizzato trans-nazionale. Basta qualche cifra per capire di quale sia la portata di questo fenomeno e del business economico a esso collegato. La città di Agadez, in Niger, è il principale snodo lungo la cosiddetta “Rotta occidentale” che, partendo da Mali, Gambia e Senegal, attraversa il Niger per raggiungere la Libia. Il rapporto di “Global initiative” stima che almeno 3mila persone ogni settimana attraversino la regione di Agadez. Mentre circa 2mila maliani lasciano il loro Paese diretti in Burkina Faso lungo la “Rotta Centrale”. Non si contano i cittadini somali, eritrei e sudanesi che percorrono la “Rotta orientale” attraverso i deserti del Sudan e della Libia. Inoltre, è bene precisare che non tutti i migranti in fuga dal proprio Paese vogliono raggiungere il Vecchio Continente. L’Europa non rappresenta l’unica destinazione dei migranti africani: il Sudafrica, ad esempio, è un forte attrattore continentale. Molti invece scelgono i sentieri diretti a Est, verso Israele, nonché il Golfo di Aden verso lo Yemen e altri Paesi del Golfo Persico. Solo nel 2012, 107mila rifugiati e migranti in fuga dal Corno d’Africa hanno affrontato la pericolosissima traversata del Golfo di Aden. Ma già l’anno successivo il numero era crollato a circa 58mila a causa della lunga barriera costruita dall’Arabia Saudita lungo i confini con lo Yemen e delle deportazioni. In ogni caso, viaggiare da soli è quasi impossibile: servono guide esperte per attraversare i deserti, scafisti che organizzino i viaggi via mare, persone che all’occorrenza procurano documenti falsi o sanno corrompere un funzionario di polizia. L’Europol – si legge nel rapporto – stima che circa l’80% della migrazione irregolare venga “facilitata” da contrabbandieri o gruppi criminali. Un fitto e variegato sottobosco che sfrutta le situazioni di tensione per fare business.  Il caso della Libia, spaccata in due e in preda a bande armate di miliziani che (soprattutto nelle città del sud, nel mezzo del deserto) fanno di tutto per accaparrarsi il controllo dei traffici dei migranti. Come vere e proprie agenzie di viaggio, le reti dei trafficanti sono in grado di offrire proposte personalizzate, persino “pacchetti completi” (dai 10mila dollari in su) per chi ha abbastanza soldi da sborsare. La maggior parte dei migranti, invece, non ha risorse a sufficienza. E così il viaggio viene spezzettato in tante tappe, con lunghe soste tra una e l’altra per lavorare e raccimolare il denaro. Provocando anche gravi conseguenze sulle economie locali: «La maggior parte dei profughi – sottolinea il rapporto – fa parte e rientrano in una forma di migrazione circolare, creando sovrappopolamento, squilibri e fragili economie di transito».