Attualità

Le storie. Satnam e gli altri: quei braccianti feriti e non soccorsi

Antonio Maria Mira sabato 22 giugno 2024

Braccianti nei campi

Quello di Satnam Singh non è il primo caso di bracciante ferito non soccorso e abbandonato. Così come non sono poche le violenze di imprenditori e caporali contro i lavoratori indiani: picchiati con mazze da baseball, minacciati con fucili a canne mozze e pistole, coltelli puntati alla gola. È un campionario di orrori che ha portato anche ad arresti, processi e condanne.

La prima storia è quasi uguale, ma senza il drammatico finale, a quella di Satnam. Mamprat Singh stava cambiando i teli di plastica di una serra quando cade da alcuni metri di altezza e si ferisce in modo serio. Ma invece di portarlo in ospedale viene buttato in un lontano campo di patate e lasciato lì. Per fortuna lo vede qualcuno che chiama i soccorsi ma deve intervenire con urgenza addirittura l’eliambulanza. Il bracciante si salva, fa una denuncia ma poi la ritira perché pagato dal “padrone”.

Non lo fa, invece, Gill Singh. Lavora vicino a Latina, ha il permesso di soggiorno e anche un contratto, ma lo pagano solo 500 euro al mese. Lui accetta, pur di lavorare, ma quando arriva il Covid chiede a “padrone” una mascherina. È il febbraio 2021 e la risposta è l’immediato licenziamento. Ma quando Gill chiede quanto gli devono per le settimane già lavorate, mentre torna a casa in bicicletta viene investito da un mezzo dell’azienda e poi selvaggiamente colpito con una mazza da baseball, fino a fratturargli un braccio e la testa. Viene anche lui buttato in un fosso, ma riesce a telefonare ai carabinieri. Sta molto male ma i militari la prima cosa che fanno è chiedergli i documenti. Così è costretto, sopportando i dolori, a risalire in bicicletta e tornare a casa per far vedere il permesso di soggiorno. Solo allora viene portato all’ospedale dove viene urgentemente operato, applicando una placca di metallo nel braccio. Ringrazia comunque i militari («Se sono vivo è grazie a loro») e poi va a denunciare l’aggressione. E al processo, ancora in corso, si costituisce parte civile assieme al sociologo Marco Omizzolo, da tanti anni al fianco dei braccianti sfruttati. Anche lui, che vive a Sabaudia, è stato vittima delle violenze criminali: auto più volte danneggiata, lettere con minacce e insulti. Ma non ha mai mollato, seguendo altre storie di violenze.

Come i sei braccianti che lavoravano in un’azienda di Borgo Vodice. Vivevano in un rudere, obbligati a ritmi di lavoro estenuanti, col padrone che li minacciava puntando un fucile a pompa, addirittura in faccia. E se tardavano ad arrivare sui campi li raggiungeva al casolare e sparava contro la porta per poi farli uscire puntando un coltello alla gola. Una situazione da vero schiavismo fino a quando alcuni dei braccianti hanno deciso di denunciare alla Polizia. Così nell’ottobre 2019 è scattato un blitz che ha portato all’arresto dell’imprenditore con le accuse di sfruttamento del lavoro, minaccia aggravata con l’utilizzo di arma da fuoco, lesioni personali, detenzione abusiva di munizionamento. Nel corso della perquisizione erano stati trovati 11 fucili e una pistola. Il processo è ancora in corso.

Invece si è concluso lo scorso febbraio, dopo ben sei anni, il processo nato dalla coraggiosa denuncia di Balbir Singh. L’imprenditore “padrone” Procolo Di Bonito è stato condannato a cinque anni di reclusione per sfruttamento, così come coraggiosamente Balbir aveva denunciato nel 2017, dopo 6 anni di trattamenti disumani, violenze, minacce. Lavorava 12 ore al giorno, sette giorni su sette, anche nei giorni festivi, costretto a vivere in una roulotte scassata senza acqua e bagno. E per risparmiare mangiava gli avanzi del mangime per polli e maiali che il padrone buttava. Gli davano ogni tanto 20 o 50 euro, massimo 400 al mese, tutto in nero, che lui metteva da parte per poi mandarli alla famiglia. Spesso minacciato con una pistola, quasi ogni sera veniva picchiato e per paura di essere ucciso di notte lasciava la roulotte e andava a dormire in un boschetto vicino. Fino alla decisione di denunciare. Il 17 marzo 2017 arriva il blitz dei carabinieri che accertano le condizioni di sfruttamento. E proprio grazie ai carabinieri è il primo in Italia ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, poi trasformato nel 2021 in un permesso di lungo soggiorno.