La storia. Federica, la chef nella cucina “etica”. Quando il lavoro è davvero inclusivo
Federica, a sinistra, e la sua “brigata” al ristorante “Etico Food” di Roma
«Da ragazza ho studiato all’istituto d’arte. Ma poi ho chiesto ai miei genitori di farmi frequentare la scuola alberghiera Amerigo Vespucci. La cucina è da sempre la mia passione. E sono davvero felice di lavorare ai fornelli per inventare e preparare pietanze e dolci per i nostri clienti...». Con la blusa candida e i capelli raccolti dentro la toque blanche, come si chiama per tradizione il cappello bianco degli chef, Federica ha un’aria professionale che contrasta con la sua indole sbarazzina. Ma in cucina lei diventa così: attenta, precisa, meticolosa nelle preparazioni e nei dettagli, tanto che – racconta mamma Patrizia – «lo chef Paolo non ha timore di farle usare i coltelli, affilatissimi e pericolosi, come sa bene ogni cuoco». Federica, che ha 37 anni e all’anagrafe fa Pucciarello, è una delle colonne della brigata di cucina del ristorante “Etico Food”, incastonato nel quartiere Flaminio, a due passi da Piazza del Popolo e da Villa Borghese. Un’idea nata come una costola del già esistente “Albergo Etico”, dalla fantasia e dalla volontà di Antonio Pelosi, per dare «un’opportunità lavorativa e di inserimento sociale a persone disabili, che lavorano al fianco di professionisti della ristorazione».
Risotti gourmet, biscotti e crostate. Così è per Federica, nata con la sindrome di Down, che però non le ha impedito di scegliere con passione la propria strada e di perseguirla con tenacia e rigore, fino ad approdare all’Etico, dove ogni giorno fa da braccio destro allo chef Paolo Marigliano, imparando da lui i segreti del mestiere. Non che lei sia una novellina: prima di approdare all’Etico, per 8 anni ha spignattato in una tipica trattoria romana, “La Cacciarella”, districandosi come aiuto chef fra carbonare al dente e sugose amatriciane. Ma «era una routine un po’ limitante, volevo di più - ricorda lei stessa -, un luogo dove poter crescere professionalmente». Così, durante il Covid, ha presentato un curriculum all’Etico: nel colloquio, ha fatto presa. E nel 2022, mentre molte realtà di ristorazione ancora pativano le conseguenze delle chiusure forzose legate alla pandemia, la direzione l’ha richiamata e le ha offerto un tirocinio. Giorno dopo giorno, il suo percorso si è arricchito via via di nuove conoscenze e ingredienti. Oggi, a detta dei clienti, è maestra nella difficile arte del preparare dolci: «Le mie crostate e i miei biscotti sono molto richiesti, pare», sorride. Ma nel suo repertorio c’è anche molto altro, come prova il libro di ricette «La cucina di Federica», dato alle stampe col sostegno dei genitori, in cui - dagli antipasti ai dessert - campeggiano leccornie d’ogni genere, compreso un risotto gourmet «al tartufo bianco con la bottarga».
«Cibo etico». Federica, ovviamente, non è l’unica apprendista talentuosa passata per queste sale. «Albergo Etico Roma ed il Ristorante Etico food sono un unico progetto di inclusione sociale lavorativa, oramai BCorp - racconta la responsabile Maria Serena Tino -. Uno è nato nel Natale del 2018, l’altro, il ristorante, nel maggio 2021 in risposta alle chiusure a causa del Covid». Come funziona? «Si attivano dei tirocini di diversi mesi in cui ragazze e ragazzi con diverse abilità vengono affiancati da professionisti della ricezione, dell’housekeeping, della cucina e della sala bar, - spiega ancora la responsabile Tino, che è pure capo nel gruppo scout Roma 15 dell’Agesci -, al fine di mettere a frutto le loro abilità e consentire loro di imparare un mestiere». Al termine del periodo, i tirocinanti vengono aiutati ad inserirsi come professionisti in altre strutture, tanto che «su 35 ragazzi passati da noi dal 2019, due terzi hanno trovato impiego al termine del tirocinio».
Roma all inclusive. Nella Capitale, le realtà lavorative “inclusive” sono più di quanto si pensi. «Grazie alla sinergia con le istituzioni e col Terzo settore - riferisce Daniele Caldarelli, presidente della sezione romana dell’Associazione italiana persone con sindrome di Down e anche lui capo scout - ci sono oltre 50 aziende con cui collaboriamo quotidianamente». Grazie all’opera svolta dal Servizio di Inserimento Lavorativo in convenzione col Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale (e in sinergia con i servizi pubblici del territorio) si contano infatti attualmente 75 lavoratori impiegati in contesti differenti: ristorazione, come Federica, ma anche commercio, ospitalità, uffici pubblici. Fra loro, il 90% è assunto con contratti a tempo indeterminato, mentre 7 sono le persone in tirocinio. «Attuare una prassi inclusiva nel mondo del lavoro – ragiona Barbara Funari, assessora alle Politiche sociali del Comune di Roma – vuol dire, oltre che abbattere le barriere fisiche purtroppo ancora presenti, abbattere anche quelle culturali, consentendo un cambio di mentalità sul collocamento delle persone con disabilità» e «passando dal pregiudizio alla concreta valorizzazione delle differenze». Lo conferma Lucia Tutone, responsabile per le risorse umane di “Mercato Centrale Roma”: «La nostra esperienza aziendale coi lavoratori con sindrome di Down nasce nel 2018 quando - vista la crescita della nostra società - la legge ci “imponeva” di assumere un lavoratore con disabilità. Ci siamo messi in contatto con l’Associazione Italiana Persone Down di Roma, scoprendo un mondo di progetti e di opportunità». Da allora, prosegue Lucia, «insieme a Valerio, Matteo e Eugenio siamo cresciuti tutti: abbiamo imparato a definire meglio i nostri ruoli, ad essere più chiari e trasparenti nelle procedure, a rallentare e a sincronizzare i nostri tempi dove necessario. Cosa non facile per una realtà grande come il Mercato Centrale che, con la sua posizione all’interno della stazione Termini di Roma, vede passare ogni giorno oltre 10mila clienti».
«Impresa e integrazione». Nel frattempo, da Etico la brigata dello chef Paolo è in piena attività. «La nostra cucina è tradizionale ma con tocchi di fantasia, attenta alla qualità delle materie prime e alla provenienza dei prodotti da altre realtà di inclusione sociale e sostenibili – dice ancora Serena Tino –. Qui impresa e integrazione camminano insieme». E hanno pure un buon profumo, a giudicare dagli odori appetitosi che si spandono nel locale. Federica, in prima linea, sta già al suo posto col tocco in testa, pronta a impiattare con grazia ciò che le sue mani e quelle degli altri cuochi hanno preparato.
Le altre esperienze. «Il segreto? È fare squadra»
Qual è la ricetta per far funzionare gli inserimenti lavorativi delle persone con sindrome di Down? Gli ingredienti, secondo chi se ne occupa da anni, sono diversi. E ai primi posti figurano l’autonomia e le competenze dei lavoratori, l’organizzazione del lavoro secondo linee guida, la comunicazione, la consapevolezza e la cultura dell’inclusione maturate dalle aziende. Peraltro, in una apposita black list degli esperti sono menzionati «gli ostacoli e gli errori da evitare». Quali? «La poca sinergia con i servizi pubblici del territorio, i pregiudizi, l’inadeguato accompagnamento nel rapporto tra il lavoratore e l’azienda». Se pensate che siano valutazioni fatte così, tanto per dire, andate a parlare con chi sta già facendo esperienze di questo tipo.
Il racconto di chi ce la fa grazie a capi e colleghi
Daniela, ad esempio, ha 31 anni e da un lustro lavora come addetta alle vendite, in uno dei punti Nespresso di Roma. Un impiego che le piace e che, anche grazie allo stipendio, la fa sentire libera e indipendente. Alice, invece, ne ha «ventisei e mezzo» (per la precisione) e da poco ha terminato il suo primo anno nello store di articoli sportivi della Adidas nel Centro commerciale di Castel Romano, nei pressi di Roma. Si occupa della vendita, del riassortimento delle merci in magazzino, della valutazione del gradimento dei clienti all’uscita del negozio. «A volte mi impunto, mi stanco, oppure non sono soddisfatta di quello che faccio – racconta –, ma grazie all’aiuto dei miei colleghi riesco a superare le difficoltà». Accanto a lei, lo staff del negozio funziona come un vero e proprio team, che Alice sente sempre al suo fianco, a cui può chiedere aiuto quando gli scaffali sono troppo alti per lei o quando pensa di non farcela. Una squadra “del cuore” alla quale, a sua volta, non si stanca di dire, come un vero coach, «non mollate mai, perché le cose si risolvono insieme».
Il suo capo, Sergio Santini, store manager del punto Adidas di Castel Romano, sintetizza così: «Come per ogni inserimento lavorativo, con Alice abbiamo iniziato con la conoscenza reciproca, favorendo la relazione con tutti i ragazzi del team attraverso il processo di on boarding, che permette di aumentare la fiducia e superare le diffidenze da ambo le parti. A fare la differenza sono stati il suo sorriso contagioso e la sua determinazione». Oggi i ruoli sono cambiati: Alice «è divenuta un elemento essenziale» nell’accoglienza dei nuovi assunti, aiutandoli nelle difficoltà dei primi giorni e affiancandoli nelle procedure del piano vendita o del rifornimento merci. Un esempio concreto, non retorico, di come un’efficace inclusione di esperienze e persone differenti sia una ricchezza per tutti, lavoratori e aziende.