Il profilo. Fede, scienza e barzellette: le grandi cose fatte dal piccolo Sammy
Il piazzale dietro la chiesa di Tezze sul Brenta, dove si sono svolti i funerali di Sammy Basso
Le barzellette, l'ossessione incomprensibile per le salamandre, i travestimenti da alieno, le domande su chi fosse Dio a 12 anni, la sveglia puntata alle 10.30 di ogni mattina per leggere il Vangelo. Si devono percorrere le stradine che da fuori Vicenza portano fino a Tezze sul Brenta per capire chi era Sammy Basso. Non fermarsi alla sfilata sul palco di Sanremo, non lasciar scorrere superficialmente i molti video che popolano i social network, dal duetto con Jovanotti al celebre sketch con Costanzo fino all’incontro con Mattarella e il Papa, ciò che negli anni ha reso “famoso” questo ragazzo veneto affetto da una malattia rarissima e sconosciuta ai più chiamata progeria, che lo aveva lasciato piccolo piccolo e che aveva scolpito i tratti del suo viso come quelli d’un centenario, rendendolo per chiunque immediatamente simpatico, familiare. Qui, tra le centinaia di persone strette accanto a mamma Laura e papà Amerigo da domenica scorsa (quando Sammy è morto all’improvviso, durante una festa di matrimonio), nessuno vuol parlare del personaggio pubblico, del testimonial pluripremiato e ricercato in mezzo mondo per le sue fulminanti testimonianze, sempre in viaggio, sempre impegnato. «Non è il nostro Sammy quello». O forse sì, lo è anche stato, senza cambiare, senza che nessuno conoscesse mai veramente la storia incredibile che ha portato con sé: «Vogliamo raccontarla».
Il feretro di Sammy all'arrivo a Tezze sul Brenta - Diocesi di Vicenza
Riccardo e gli altri sono la famiglia di Sammy, gli amici con cui è diventato grande al catechismo e nelle vacanze parrocchiali, in una comunità - raccontarla non rende minimamente l'immagine della sua compattezza - tutta raccolta attorno alla sua chiesa e al suo don, che di nome fa Piero e che ha sempre la porta aperta per i ragazzi. Tra loro Sammy, che un ragazzo era, aveva appena 28 anni. E che con altri ragazzi s'era dato una missione: fare qualcosa per gli altri, costruire speranza. A cominciare dalla cosa che più spaventa questo mondo, tanto da essere considerata la fine di tutto, lo scoglio contro cui quella speranza si disintegra assieme alla dignità dell'essere umano: la malattia. «Non spaventava lui, non era il suo limite, non lo esauriva. Non ha mai spaventato noi». Il più grande del gruppo ha trent’anni, il più piccolo non arriva a venti. Immaginateli in prima elementare, con quel bimbo “speciale”. Immaginateli crescere mentre lui no, restava così, e però coltivava il suo sogno, quello di scoprire perché era diverso da loro, diventare uno scienziato. E poi vederlo realizzare quel sogno, laurearsi una volta (in Scienze naturali) e poi un'altra (in Biologia molecolare), volare negli Stati Uniti per incontrare un altro Sam affetto dallo stesso male, andare in televisione, in Vaticano, al Quirinale e ritornare a Messa la domenica sulla panca di sempre, in fondo alla chiesetta di Tezze, come se nulla fosse. Con una barzelletta nuova.
Il governatore del Veneto Luca Zaia accanto alla mamma di Sammy, Laura. Sotto Alessandro e Nicolò, gli amici di Sammy affetti come lui da progeria - Diocesi di Vicenza
Sono raccolti in cerchio nel piazzale, in paese stanno arrivando migliaia di persone da tutta Italia per un funerale-evento che ha mobilitato il Comune, con un palco di 180 metri quadrati, il grande parcheggio e il campo da calcio sgombri, i maxi-schermi al led, i palchetti per la stampa, le sedie per le autorità. Molti di loro fanno parte dell’Associazione italiana progeria fondata da Sammy per promuovere la ricerca sulla sua patologia e sostenere le altre famiglie: c’è chi lavora a tempo pieno, chi studia biologia, chi fisica, chi si occupa della comunicazione. «Lui ci ha insegnato ad aprirci alle relazioni invece che chiuderci in noi stessi, che l'immagine allo specchio non dice niente di chi siamo, che il male può essere accolto come una sfida di tutti e non come il fardello di qualcuno. Ci ha insegnato ad avere fede». Un'eredità e un compito, portato avanti con la ricerca scientifica, i convegni, le tavole rotonde, il supporto psicologico. Sammy Basso di fede, d'altronde, era un campione e un testimone straordinario, chi lo incontrava ne veniva immediatamente contagiato. Lo ripetono gli amici di sempre, don Davide e don Matteo, il cardinale Parolin che lo aveva conosciuto di persona e che ha scritto un messaggio di suo pugno per ricordarlo, il vescovo di Vicenza Giuliano Brugnotto che ha deciso di celebrare le esequie assieme ai suoi predecessori e a 50 sacerdoti e che ha usato le sue parole, quelle scritte da Sammy apposta, per l'omelia. «La sua giornata tipo iniziava tardi, perché di notte faticava a dormire – spiega mamma Laura, uno scricciolo che non crolla mai e abbraccia tutti, uno a uno -. Ma alle 10.30 suonava la sveglia del telefono: era il momento della sua lettura del Vangelo, su cui meditava profondamente». Risponde di no, quando le si chiede se era un’abitudine di famiglia: «Non gliel’abbiamo insegnato, è venuto da lui, lo faceva per conto suo. Diceva sempre di poter dire qualsiasi cosa su se stesso, ma che se non avesse detto di aver fede era come se non avesse detto niente. Diceva che Dio gli aveva dato tutto – una vita, una famiglia, degli amici, un mondo dove stare -, tutte cose molto più grandi di quelle che una malattia può togliere. Che senza la malattia, anzi, non avrebbe fatto la stessa esperienza dell'amore». Si commuove quando spiega che suo figlio se n’è andato senza alcun rimpianto su una vita «che ha considerato sempre splendida. Tranne uno: quello di non essere stato in Terra Santa». Non vuole dire della lettera che Mauro, il fisioterapista di Sammy, le ha consegnato poco prima della veglia di preghiera di giovedì sera: «Aveva già pensato a tutto, aveva scritto a noi e ai suoi amici. L'abbiamo aperta poco prima di arrivare qui, siamo in pace».
Il vescovo di Vicenza Giuliano Brugnotto insieme ai 50 sacerdoti che hanno concelebrato il funerale di Sammy - Diocesi di Vicenza
Quanto contasse il progetto di Dio su di lui, seppur sgangherato e per chiunque altro imperfetto, Sammy lo ha spiegato una volta davanti a Fedez in un colloquio radiofonico in cui quest'ultimo gli chiedeva come faceva, a credere, «perché?»: «Perché il Dio che ho conosciuto ha pianto nella tomba del suo amico, è un Dio che s'è fatto come noi, che ha condiviso tutto con noi». Immaginate, di nuovo, l'espressione incredula del rapper, il silenzio calato nella sala registrazione. Era lo stesso che riempiva le classi nelle scuole quando Sammy arrivava: «Gli studenti staccavano lo sguardo dal telefono e lo guardavano meravigliati - racconta l'amico insegnante Matteo, che l'ha visto crescere e spesso lo portava con sé -. Il suo esempio li travolgeva». «Su su, adesso tocca a noi» dice don Piero ai ragazzi, «ci tocca credere che non finisce tutto qui, che se Sammy ha fatto così tanto per noi da questa parte, chissà cosa potrà fare di là. Si chiama intercessione, è il potere dei santi e adesso è anche il suo». Nessuno piange. Vanessa decide di ricordare le vacanze in montagna; Giulia di quando lo tiravano in piedi sul tavolo per cantare e delle notti passate coi giochi in scatola; Alessandro e Nicolò, che hanno la progeria come lui, della sua passione per la Route 66. Riccardo (il più caro degli amici) della sua voglia di far festa sempre e comunque: «Anche prima di morire, domenica scorsa. Nell'ultimo video stavamo ballando». Gli ha stretto la mano quando s'è accasciato a terra, gli ha fatto un massaggio cardiaco «perché è stato lui a obbligarci tutti a fare il corso di rianimazione. Ma non riesco ad essere triste, la parola giusta per descrivere il mio stato d'animo è “sazio”. Perché abbiamo avuto tutto, Sammy l'ho avuto tutto e lui tutto ha vissuto e avuto». “S(t)ammy vicino” recita lo striscione appeso nel grande spiazzo assolato e stracolmo di gente adesso: sul palco si canta, i preti sono vestiti di bianco e non di viola, come a Pasqua. «Voleva una festa anche oggi e festa sia».