Mentre l’Italia in preda a febbre da jackpot è in coda nelle ricevitorie, la Consulta nazionale antiusura lancia l’allarme. Siamo il paese europeo dove si gioca di più d’azzardo e, tra le vittime degli strozzini, una famiglia su quattro ha debiti di gioco. In Italia in pochi anni si è affermata la macchina dei giochi, capace di suscitare la nostra passione latina con un’efficienza anglosassone. A scapito dei più deboli. Cavour chiamava il gioco la tassa dei poveri. Nel Belpaese 30 milioni di persone giovano in modo occasionale. Ma a cadere nel vizio, sostiene la Consulta nazionale antiusura, che raggruppa 27 fondazioni, sono il 56% degli strati sociali medio bassi e il 66% dei disoccupati. Un milione e mezzo di persone, diceva un recente studio del Cnr, gioca in modo compulsivo. I patologici sono infine 700 mila. A rischio dipendenza sono tre milioni di persone. Cifre triplicate in cinque anni. Dietro il sogno della ricchezza facile fa dunque capolino l’usura cui fa ricorso il giocatore patologico e problematico. I costi sociali sono alti, basta pensare alle famiglie sfasciate. Ma l’Italia non limita le pubblicità martellanti e illusorie. «Servirebbe una circolare ministeriale – chiede monsignor Alberto D’Urso, segretario della Consulta nazionale antiusura – per bloccare la vincita e impiegare i proventi di quanto si giocherà d’ora in poi a scopo di solidarietà. Dalle case in Abruzzo, ai disoccupati, alle case pignorate presso i tribunali. Le esecuzioni immobiliari sono aumentate di un quarto». C’è una questione morale alla base, secondo il prete antiusura. E precise responsabilità. «Se insistiamo solo sulla ricchezza facile, giochiamo una brutta carta pedagogica, fomentiamo la cultura di chi è posseduto dal dio denaro. Tra le cause del sovraindebitamento c’è il ricorso all’azzardo. Dal 1998 continuiamo a segnalarlo invano ai governi. Ma la posizione sul gioco è bipartisan, c’è connivenza tra partiti e gestori, se è vero che si vuole allargare il mercato ad altre case appartenenti trasversalmente a esponenti dei vari schieramenti ». Veniamo alle cifre di un mercato che non conosce crisi, anzi. «Quest’anno supereremo i 55 miliardi di spesa per il gioco pubblico in Italia – spiega il sociologo Maurizio Fiasco – per capirci sono il 5,5% del Pil. La sola spesa per le 300 mila slot macchine installate, un quarto delle quali è sotto il controllo della criminalità organizzata nei locali, dovrebbe raggiungere 28 miliardi di euro, l’equivalente del bilancio della pubblica istruzione. Una situazione abnorme. La Francia da tre anni ha soppresso le installazioni delle slot. Avevano visto i danni sociali ed economici contro il basso ritorno fiscale ». Da noi la Cassazione deve pronunciarsi sulla vicenda del pagamento delle penali di 90 miliardi di euro (tre manovre Finanziarie) comminate per evasione ai dieci gestori nazionali del gioco che dal 2004 non hanno attaccato i modem del Ministero delle Finanze alle slot per consentire il prelievo fiscale sugli incassi. Spendiamo a conti fatti circa 2000 euro a testa. Ma lo Stato quanto incassa? «È un luogo comune che l’erario guadagni molto – afferma Fiasco – in generale circa un sesto. Sul Superenalotto prende molto di più anche se è il gestore a guadagnarci davvero. Insomma, risultato modesto se paragonato a quanto lo Stato avrebbe incassato in Iva e tasse se la stessa somma fosse stata destinata ai consumi ordinari, che per giunta sono un volano per l’occupazione». Tanto che il mercato dei sogni produce 65 mila occupati. «Il consumo – prosegue lo studioso – è sostenuto da una spesa pubblicitaria di circa 20 milioni di euro. E da un marketing aggressivo che ha creato prodotti su misura, cambiando modi, tempi e luoghi di gioco, arrivando in casa, coinvolgendo donne e minori. Fino agli anni ’90 la scommessa sportiva si limitava a calcio e ippica e avveniva a ritmi lenti nei bar o in fumose sale. Oggi si scommette in sale pulite tranquille su tutti gli eventi in corso. O dalla tivù digitale interattiva, dal telefono, dal bar sotto casa o dal computer. Il decreto Abruzzo consente di giocare a poker texano on line con il pagamento immediato. Questo scatena compulsione». Così il gioco veloce diventa un volano formidabile per l’usura. Ci si indebita dal tabaccaio, poi questo ti passa allo strozzino di quartiere e quando la cifra è elevata arrivano le organizzazioni criminali. E la corsa al 5+1? «Può alimentare il gioco compulsivo – conclude Fiasco – per due motivi. L’illusione di controllabilità del risultato, che porta a ritenere la fortuna a portata di mano. E la vincita iperbolica in palio». «Manca l’educazione alla sobrietà – richiama monsignor D’Urso – come ha più volte raccomandato la Chiesa, ovvero equilibrio nelle scelte di vita. Nella febbre indotta da Superenalotto trovo cinismo verso i bisognosi, che più frequentemente ricorrono alla fortuna spendendo gli ultimi spiccioli. Tre giocate alla settimana sono 12 mensili. Non c’è invece attenzione ai due milioni di famiglie a rischio povertà e alle 900 mila sotto la soglia. Lo Stato fa vedere la montagna di soldi di Zio Paperone a tanti poveri Paperini che perdono il controllo».