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Roma. Da rifugiato a scultore. Ecco la storia di Fasasi

Antonio Maria Mira sabato 1 luglio 2017

«Grazie, grazie per averci salvato. Grazie per avermi aiutato e per tutto quello che fate per noi». Sono le parole di Fasasi Abeedeen, 32 anni, rifugiato nigeriano, scultore, mentre regala una sua opera al capo della Polizia Franco Gabrielli. Una terracotta dipinta che rappresenta una migrante salvata dalle acque da un poliziotto. L'occasione è la mostra di quindici sculture di Fasasi intitolata «L'approdo: dopo tanti pericoli l'arrivo in un porto sicuro», che Gabrielli ha visitato in forma privata. Quasi da amico, anche se la sua riflessione è anche da responsabile dell'ordine pubblico. «Questa è integrazione. Solo così possiamo evitare che queste persone finiscano nei ghetti che poi possono diventare anche problemi di sicurezza. Il futuro è una seria politica di integrazione, è l'unico vero antidoto per l'ordine pubblico e per garantire la convivenza. Noi abbiamo bisogno di loro e l'integrazione è l'unica vera chiave per valorizzare la positività dell'immigrazione».


Un brindisi con Fasasi e con chi lo ha aiutato nel suo cammino di integrazione. Poi sul registro dei visitatori lascia un pensiero. «Un grande artista ma soprattutto un uomo che ha deciso di vivere serenamente nel nostro Paese. Auguri di cuore». Sorride Fasasi, visibilmente emozionato. Nel piccolo catalogo che raccoglie le foto delle sue sculture ha scritto: «Ero uno scultore nel mio Paese, sono uno scultore nell'Italia che mi ha accolto». E, infatti, la sua è proprio una bella storia di vera integrazione, come ha voluto sottolineare Gabrielli. Il giovane ha studiato arte nel suo Paese, specializzandosi proprio in scultura, e realizzando varie opere per la
sua città Ibadan, nello stato di Oyo. «Avevo studiato duramente – racconta –, avevo un lavoro e ero soddisfatto». Ma in occasione delle elezioni presidenziali del 2015, il seggio dove fa parte della commissione viene assalito dai guerriglieri che, sparando, rubano le schede elettorali. Fasasi scappa, la sua casa viene incendiata, non trova più la famiglia (i genitori, due sorelle e un fratello più giovani). «Dopo alcuni giorni gli amici mi hanno prestato dei soldi e sono riuscito fuggire». Il deserto, la Libia e poi il mare. «Eravamo più di mille su alcuni barconi. Ci hanno salvato gli italiani».


Sei mesi fa arriva a Roma dove è ospitato nel centro Sprar "Casa Benvenuto", gestito dalle associazioni "In Migrazione" e "Acisel". «Avevo perso tutto, la mia famiglia, la mia terra, la mia passione», ricorda Fasasi. Ma la sua storia cambia proprio a partire da quella passione. «Abbiamo costruito con Fasasi un percorso per l'integrazione inedito – spiega Simone Andreotti, presidente di "In Migrazione" – partendo proprio dal valorizzare il suo talento e la sua passione per la scultura. La scoperta della parte sana della città gli ha permesso di crescere umanamente e artisticamente per ricominciare a scolpire». Così la pittrice Lena Salvatori e la scultrice Lu Tiberi lo hanno accompagnato alla scoperta dell'arte italiana, che ora nelle sue opere si è fusa con la cultura d'origine. «Scolpire è ora il suo lavoro – dice ancora Andreotti –, e ha scoperto con noi che è possibile. Ma è anche un modo per ripagare l'accoglienza che ha ricevuto in Italia». Questo il motivo dell'incontro con Gabrielli che ha conosciuto la bella realtà di "Casa Benvenuto" quando era prefetto di Roma. Una storia che continua. Ora Fasasi, al termine del percorso nello Sprar, è ospitato dalla "Casa Scalabrini", dove saranno nuovamente esposte le sue opere, in vendita per finanziare "RifugiArti", un progetto per sostenere talenti tra i rifugiati, garantendo uno spazio protetto di crescita e lo sviluppo di un futuro attraverso l'arte. Come è stato per Fasasi.