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Coronavirus. Ora anche l'Italia sperimenta l'Avigan, il farmaco giapponese

Paolo Viana martedì 24 marzo 2020

Ieri mattina, l’Aifa sentenziava: «Scarse evidenze scientifiche sull’efficacia » dell’Avigan. Poche ore dopo, il ministro della Salute Roberto Speranza annunciava: l’Agenzia «procede sulla sperimentazione del medicinale per valutare l’impatto del farmaco nelle fasi iniziali della malattia». Una decisione politica, se è vero che ancora ieri mattina Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità dichiarava alla radio che «non vi è nessun dato che dimostri inconfutabilmente l’efficacia dell’Avigan».

Definita dal virologo Alberto Burioni «una scemenza». Cos’era successo nel mentre? Che il video postato su YouTube in cui il farmacista romano Paolo Aresu accusava di voler nascondere l’efficacia di un farmaco miracoloso – l’Avigan, appunto – aveva raccolto una valanga di like e le Regioni più colpite dall’epidemia avevano iniziato a premere su Roma per esplorare questa soluzione.

L’ha ammesso il governatore lombardo Attilio Fontana: «Il nuovo farmaco Avigan non si sa se funzioni o non funzioni, è diventato virale sulla rete ma adesso potrà essere testato, grazie alle sollecitazioni che abbiamo inviato a Roma». Ancor più entusiasta Luca Zaia: «La sanità del Veneto è pronta ad affrontare il protocollo che verrà deciso per testare il farmaco nei pazienti del nostro territorio». L’Avigan è stato approvato nel 2014 in Giappone come anti–influenzale, ma ha tali effetti collaterali che non viene più somministrato, se non eccezionalmente.

Finora lo hanno provato i cinesi. Non è autorizzato in Europa né negli Usa. È lecito supporre quindi che la riunione tra il ministro Speranza e il presidente dell’Aifa sia stata piuttosto tesa: impegnato a ricucire i rapporti con l’opposizione che governa in Lombardia e in Veneto, il governo avrebbe letteralmente “imposto” la sperimentazione di un farmaco in cui l’Agenzia del farmaco ha detto in ogni modo di non credere.

L’Avigan è stato approvato nel 2014 in Giappone come anti–influenzale, ma ha tali effetti collaterali che non viene più somministrato, se non eccezionalmente. Finora lo avevano provato solo i cinesi

Ancora ieri sera, sulla home page del sito si leggeva che «ad oggi, non esistono studi clinici pubblicati relativi all’efficacia e alla sicurezza del farmaco nel trattamento della malattia da Covid–19». Ben più lineare la vicenda dell’idrossiclorochina. Nei giorni scorsi l’Istituto ospedaliero universitario Méditerranée Infection di Marsiglia ha fatto sapere di aver trattato 24 malati di coronavirus con la clorochina, una molecola usata contro la malaria. Il 75% «dopo sei giorni aveva una carica virale negativa».

Questa sostanza, utilizzata insieme all’antibiotico azitromicina, ha portato alla guarigione. Gli studiosi hanno ammesso che ci sono ancora problemi di interazione farmacologica ed effetti collaterali, ma esisterebbe «una forte razionalità nell’uso della clorochina per il trattamento delle infezioni con microrganismi intracellulari».

Secondo l’infettivologo della Poliambulanza di Brescia, Roberto Stellini, le speranze sono «comprensibili e al limite condivisibili» ma «uno studio aperto non randomizzato che arruola solo 26 pazienti non può avere un grosso valore scientifico. Tanto che gli stessi autori ammettono che ha “alcuni limiti”. Con questo, non possiamo escludere nulla, ma neanche dire che abbiamo trovato la soluzione».

Il medico precisa che «l’idrossiclorochina ha un effetto antinfiammatorio con una riduzione del Ph che diventa più acido e l’azitromicina è un antibiotico macrolide – e quindi attivo sui batteri e non sui virus – che però ha dimostrato una tenue attività sul sistema immunitario. Nella pratica clinica utilizziamo azitromicina per trattare eventuali sovrainfezioni batteriche polmonari e idrossiclorochina in associazione ad antivirali. Ora servono studi prospettici randomizzati».

Più possibilista Roberto Cauda, infettivologo dell’Università Cattolica, il quale nel 2003 pubblicò uno studio su Lancet sull’efficacia della clorochina con la Sars: «Già i cinesi hanno esaminato in vitro un’azione antivirale aspecifica di questa molecola che riduce la replicazione virale e avevano ipotizzato che potenziasse il sistema immunitario, come abbiamo visto con la Sars.

Per questo, la clorochina è entrata nelle linee guida e si usa nel mondo. Ora, lo studio francese, pur su piccoli numeri, contiene degli elementi interessanti. Conferma le intuizioni cinesi – il funzionamento aspecifico – e ipotizza che l’azitromicina potenzi l’idrossiclorochina nella sua azione antivirale aspecifica, accelerando la guarigione e diminuendo la contagiosità. Non siamo alla soluzione dei nostri problemi, tuttavia teniamo conto che non esiste ancora un farmaco specifico, se si eccettua l’anticorpo monoclonale individuato dall’Università di Utrecht, capace di riconoscere la proteina che il virus utilizza per aggredire le cellule respiratorie umane. Ma non ancora testato né disponibile».