Attualità

La denuncia. Fango e pomodori: in Puglia l'inferno per 400 bambini

LUCA LIVERANI venerdì 9 settembre 2016
Una baraccopoli da 800 persone che lavorano 10 ore al giorno per 25 euro come braccianti stagionali. Una vera e propria favela priva dei servizi minimi essenziali come l’acqua potabile. E in cui metà degli abitanti sono bambini. Minorenni che vivono in uno stato di gravissimo degrado socio-sanitario. Non siamo né in Kenya né in Brasile, ma a Borgo Mezzanone, dieci chilometri da Manfredonia, provincia di Foggia. Qui, da ormai cinque anni, ignorata dalle istituzioni, vive una comunità di rom bulgari che ogni anno si accampa da marzo a novembre per fare la stagione. Totalmente in nero e alla mercé dei “caporali”. Pur di raggranellare qualche centinaio di euro, vitali per sopravvivere il resto dell’anno nel Paese d’origine. Le coltivazioni di pomodori e le vigne attirano da tempo migliaia di braccianti stagionali. In gran parte sono africani: migranti, richiedenti asilo, o addirittura rifugiati ormai usciti dal circuito dell’accoglienza. Come quelli del vicino Cara, dove vivono 600 africani. L’amara novità del “ghetto dei bulgari” è la presenza massiccia di bambini, che passano le giornate a razzolare tra la sporcizia, seminudi, con i padri a spaccarsi la schiena nei campi e le madri indaffarate nelle baracche o a prendere l’acqua a cinque chilometri di distanza. «È la prima volta che troviamo in questi ghetti delle intere famiglie con bambini. Questi “schiavi bianchi” pur essendo rom non sono stigmatizzati dall’opinione pubblica come gli altri», fa notare Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio. «Non sono accusati di furti e di roghi – dice – e non corrono il rischio di essere sgomberati: sono un piccolo tassello della nostra sporca filiera agricola e quindi troppo preziosi per finire nel calderone del disprezzo mediatico ». Stasolla ha incontrato questi rom – originari per lo più dalla città bulgara di Sliven – assieme a Antonio Ciniero, ricercatore di Sociologia delle migrazioni dell’Università del Salento.  «Lavoro dalle 4 del mattino sotto il sole – è il racconto di Stilia, 50 anni – a raccogliere pomodori e mi spettano 25 euro a giornata». Il trasporto in furgone sui campi, per chi non ha un mezzo, costa 5 euro al giorno. Poi c’è da pagare anche il cibo e l’acqua. «Ivan, uno di loro – racconta Ciniero – mi ha spiegato che riceve 6 centesimi per riempire una cassetta da 15 chili. Deve  farne almeno 330 in 10 ore, quasi 5 tonnellate di pomodori, 33 casse all’ora, meno di due minuti a cassa. Un ritmo estenuante e inumano, soprattutto sotto il sole pugliese».  Ma il dramma nel dramma è la presenza dei minori, esposti a disagi e traumi che possono segnarli a vita. Per i 400 bambini di questo girone non c’è scuola, non c’è spazio per giocare, non c’è acqua, né diritti o futuro. Solo terra e immondizia, scaricata nel bacino di irrigazione dismesso accanto al campo, tra baracche di lamiere, tavolacci, teli di plastica da serra. Giornate da soli, potenzialmente esposti anche al rischio di abusi: nella zona orbitano anche i clienti delle prostitute che esercitano nelle vicine baraccopoli di africani. «Queste famiglie hanno cominciato a venire in parrocchia chiedendo vestiti», racconta Dina Diurno, insegnante e volontaria Caritas alla parrocchia di S. Maria del Grano e S. Matteo Apostolo a Borgo Mezzanone. «L’anno scorso la prefettura ha minacciato uno sgombero dopo la denuncia del proprietario del terreno, per alcuni allacci abusivi di corrente. Con gli altri volontari siamo entrati nel campo, in punta di piedi, per giocare coi bambini e fare animazione». Per questi rom gli italiani sono solo i “padroni” e i “caporali”. Inevitabile l’ostilità iniziale: «I bambini ci hanno accolti a sputi e calci. Poi hanno superato la diffidenza, anche se quasi nessuno parla italiano. C’è una situazione sanitaria delicatissima, ci sono bambini con problemi psico-motori, alcuni sono invalidi. E poi i rischi legati al degrado e alla promiscuità. È tempo che l’amministrazione locale apra gli occhi». Concorda Carlo Stasolla: «Sono lavoratori stagionali che d’inverno tornano a casa: la soluzione è a portata di mano, basterebbe una tendopoli con i servizi essenziali per restituire un minimo di dignità a queste persone e tenere alla larga malintenzionati. Innanzitutto per tutelare i bambini».