Attualità

Reportage. Famiglie distrutte da troppe verità inconfessabili

Nello Scavo mercoledì 18 giugno 2014
«Pregare per le persone che stanno soffrendo: la comunità è colpita, e bisogna anche tutelare la famiglia coinvolta da questa notizie, a cominciare dai bambini». Don Claudio Dolcini sa quel che dice. È stato in casa di Massimo Bossetti, dove i tre figli del presunto assassino di Yara e la moglie vengono confortati dalla madre di lei. Il parroco di Sotto il Monte, il paese natale di san Giovanni XIII la cui parrocchia era frequentata dai figli di Bossetti, invita alla calma «in queste ore così difficili». Se la trama l’avesse partorita un celebre scrittore, lo avrebbero spernacchiato per aver esagerato con l’immaginazione. Perché quello di Brembate è molto più di un racconto poliziesco. È un romanzo familiare, con amori clandestini confinati in un tempo remoto, e segreti che i protagonisti pensavano non sarebbero mai stati svelati. È un giallo risolto a metà, con il principale indiziato che per effetto di uno di quei segreti (di cui sembra non fosse a conoscenza) pensava di averla fatta franca. È una soap opera all’italiana, con il padre dell’imputato che solo il giorno dell’arresto scopre di essere stato tradito 45 anni prima dalla moglie e che quei due gemelli sono figli di un altro. Per non dire dell’imputato e dei suoi due fratelli, che immaginavano di essere nati da un unico padre. Soprattutto è una tragedia, perché in mezzo c’è finita lei. Una bambina che sognava una medaglia a cinque cerchi e invece è stata ammazzata per una ragione ancora tutta da spiegare. Il movente sessuale è quello ritenuto più probabile. Ma Yara Gambirasio non è stata  violentata. Non si sa neanche se l’assassino avesse fatto tutto da solo. Di sicuro è stata seviziata, e per questo sui leggins della promettente ginnasta di Brembate c’erano tracce di sangue con il dna di Massimo Bossetti. La lettura dell’ordine di fermo emesso dal pubblico ministero Letizia Ruggeri lascia un nodo in gola. Stordita con tre colpi sferrati con un oggetto contundente e poi «plurime coltellate in diverse regioni del corpo (gola, torace, schiena, polsi e arti), che insieme all’ipotermia hanno portato alla morte di Yara Gambirasio che, dopo essere stata aggredita e ferita è stata 'abbandonata agonizzante' in un campo». In parallelo al percorso giudiziario corre l’intreccio di verità nascoste. Già nel novembre 2011 si era saputo della 'pista di Gorno', dal nome del paesino in provincia di Bergamo dove viveva Giuseppe Guerinoni, autista del bus di linea Ponte Selva-Clusone-Rovetta. L’uomo è morto nel ’99 e non ci sarebbe stata ragione al mondo perché la scappatella di tren’tanni prima venisse a galla. Invece la procura aveva circoscritto il dna trovato addosso a Yara, perciò i resti di Guerinoni erano stati riesumati. Per gli analisti non c’erano dubbi: lui era il padre di 'Ignoto 1', figlio illegittimo e presunto omicida di Yara. Venerdì scorso i carabinieri hanno avuto la conferma  che una di quelle oltre 500 donne prese in esame era la madre di 'Ignoto 1'. Per una drammatica certezza che veniva riportata sui referti investigativi, altre si frantumavano facendo riscrivere l’intera storia di una famiglia.Ester Arzuffi, 67 anni, sposata dal 1967 (a 19 anni) con Giovanni Bossetti, avrebbe avuto una relazione extraconiugale con quell’autista di Gorno. Il 28 ottobre del 1970 nacquero Massimo Bossetti, il presunto assassino che porta il nome del padre biologico, e Laura Letizia, la sorella gemella il cui primo nome (coincidenza o altro mistero?) è lo stesso della moglie di Guerinoni. Due fratelli, dunque, cresciuti pensando che il loro vero padre fosse il signor Giovanni. L’uomo, appena saputo che Massimo era stato arrestato e che secondo gli esami scientifici né lui ne la gemella sono i suoi figli naturali, ha avuto un malore. La signora Ester si dispera e a tutti assicura che non può essere, «i gemelli sono figli di Giovanni». Un segreto che può aver tradito l’indagato. Massimo Bossetti deve essersi sentito al sicuro quando ha saputo che sui vestiti di Yara, il cui corpo rimase per tre mesi in un campo di Chignolo d’Isola, c’erano tracce che pensava non fossero sue. Lui credeva di essere il figlio del signor Giovanni. Ester Arzuffi, invece, la verità doveva conoscerla. «Mio figlio è innocente ripete a chi va a trovarla–. Credo nella sua innocenza». Ma sull’autista di Gorno neanche una parola. Quella storia resta un segreto.