Manovra. Famiglia, rush finale della delega. All'appello mancano 9 miliardi
Il macroscenario è chiaro. Con la manovra, il governo mette a disposizione delle famiglie un fondo da 2 miliardi circa che comprende la dote dei bonus già in essere e 500 milioni aggiuntivi, che andranno a finanziare l’accesso gratuito ai nidi per i ceti mediobassi e un’integrazione economica che però copre solo il primo anno di vita dei bambini che nasceranno nel 2020. Lo strumento (una 'card' o un nuovo 'superbonus' che accorpa i precedenti) è ancora da definire, e probabilmente la quadra la si troverà in Aula. Si è, però, a più di mille miglia dall’approdo annunciato in sede politica dalle forze politiche di maggioranza e anche da quel- le di opposizione, Lega in primis: ovvero il varo di un assegno universale per figlio che valga dalla nascita all’età adulta (0-24 anni), misura che vale circa 25 miliardi di euro e che rappresenta una rivoluzione copernicana rispetto al sistema attuale. L’«assegno» è oggetto di un ddl delega ora alla Camera: l’obiettivo è licenziarlo in commissione entro la fine di novembre, prima che a Montecitorio arrivi, ai primi di dicembre, la manovra (il cui percorso inizia dal Senato). Sarebbe dunque un errore concentrare tutte le attenzioni sulle misure contenute in manovra, limitate dalla scarsa dotazione economica, perdendo di vista la 'delega', che esprime più chiaramente la volontà (o la non volontà) politica delle forze di maggioranza.
«Assegno», mancano 9 miliardi: dove trovarli
La legge-delega parlamentare individua in circa 25 miliardi di euro il costo dell’assegno universale per figlio. Circa 16 provengono dall’assorbimento dell’attuale sistema delle detrazioni, degli assegni familiari e dei bonus, fatto salvo il principio - che la delega conterrà secondo cui nessuno dovrebbe prendere meno del 'vecchio' sistema 'detrazioni più assegni più bonus'. Mancano all’appello 9 miliardi. E il ddl parlamentare dovrà indicare dove trovarli. Le ipotesi sono varie. C’è, intanto, quel miliardo 'in più' che aziende e lavoratori versano all’Inps per pagare gli assegni familiari e che l’Istituto destina ad altre spese. Ridestinarli è esercizio facile in teoria, complesso nella pratica. Ma ci sono anche altre voci politicamente più scottanti. Il bonus Renzi da 80 euro, ad esempio. Vale 10 miliardi circa: prenderli tutti e portarli sull’assegno unico è utopia, tanto più che Italia Viva è al governo e fa da 'guardiano' alla misura simbolo dell’ex premier. Un’altra operazione è invece possibile: fare in modo che gli 80 euro, per i lavoratori dipendenti con figli, diventino una parte dell’«assegno unico»: in tal modo si recupererebbero circa 3 miliardi. La partita di 'quota 100', dal valore di 3,2 miliardi, guarda invece lontano, al 2022, quando la misura sarà 'spenta'. E anche le risorse non spese per 'quota 100' (circa 2 miliardi l’anno) saranno disponibili solo nel momento in cui si aggiustasse il sentiero del deficit. Si potrebbe puntare ai soldi non usati per il Reddito di cittadinanza, ammesso che anche questi non vengano messi come 'clausola di garanzia' con l’Europa. I capitoli da aggredire per arrivare ai fatidici 9 miliardi ci sono, quindi, ma sono come montagne da scalare. Ancora più irta è la strada che porta a 'scontare' nell’«assegno unico » la riduzione del cuneo fiscale appena varato o l’aumento contrattuale per il pubblico impiego (almeno nelle fasce di reddito che già ricevono il bonus-Renzi).
Sulla famiglia la guerra degli emendamenti Pd-Iv
Tornando alla manovra, ogni partito farà il suo tentativo, tramite emendamenti, per aumentare la dote del Fondo per le famiglie del 2020. I renziani potrebbero puntare al bersaglio grosso, l’abolizione immediata di quota 100, sapendo però di sparare a salve. Il Pd proverà un contropiede con emendamenti per aumentare la dote di altri 2-300 milioni, magari orientando in senso 'pro-famiglia' alcune delle misure appena varate dal governo, quindi senza alterare i saldi complessivi.