Attualità

Omotransfobia. Facchini: «Differenze da riconoscere senza farne categorie»

Fiorenzo Facchini giovedì 2 luglio 2020

In merito alle modifiche dell’art. 604 bis e 604 ter del codice penale e altre misure di prevenzione e contrasto della violenza e della discriminazione per motivi legati al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere, contenute nel disegno di legge unificato in esame alla Camera, ci sono alcune osservazioni da fare.

1) L’utilizzazione di termini come orientamento sessuale, genere e identità di genere in relazione a possibili discriminazioni da condannare è generica e pericolosa, perché si presta ad interpretazioni ampie che finiscono per limitare la libertà di opinione o attenuare il potere dello stato nella tutela della dignità e dei diritti della persona (es. divieto della maternità surrogata). In ogni caso l’utilizzazione di termini come genere e identità di genere, sul cui significato e uso il dibattito è in corso, non aiuta la necessaria chiarezza. La stessa giurisprudenza non si è dimostrata univoca a questo riguardo accrescendo la confusione. Mi chiedo come possano entrare in una legge che vuole fare chiarezza termini con riferimenti ideologici che fanno parte del dibattito culturale in corso. Basterebbe ribadire che nessuno può essere discriminato nei suoi diritti fondamentali in base al sesso, all’appartenenza sociale, alla religione, alle idee, a caratteristiche fisiche e/o culturali?

2) L’art. 2 del ddl, con l’istituzione di una 'Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la transfobia', richiamando l’attenzione verso situazioni personali o scelte particolari di fatto favorisce la categorizzazione e lo stigma delle persone in base all’orientamento sessuale. Le differenze vanno riconosciute e rispettate senza che si debba farne delle categorie sociali. Addirittura all’art. 6 si prevede una giornata di vacanza nelle scuole per organizzare incontri su queste tematiche. Non pare eccessiva la proposta? Non c’è neppure per la tutela dell’ambiente, un problema non meno rilevante da un punto di vista generale.

3) Piuttosto riterrei opportuno un lavoro formativo costante sui bambini e sui ragazzi delle scuole, non appaltato a gruppi ideologicamente qualificati o in causa, ma promosso dalle scuole stesse, d’accordo con le famiglie, inserito nel piano dell’offerta formativa, nel quadro di una ripresa di attenzione per l’Educazione alla cittadinanza, come prevede la legge n. 92 del 2019. Perché non riprendere in mano le 'linee guida nazionali' indirizzate alle istituzioni scolastiche per l’attuazione della legge 107 del 2015 sulle quali c’era larga convergenza?

4) L’art. 8 prevede un programma per la realizzazione di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere (anche con finanziamenti pubblici), gestiti da enti locali o da associazioni che svolgano attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento. Piuttosto evidente il riferimento a gruppi e associazioni private, ideologicamente marcate. Un modo surrettizio per assicurare ad essi un finanziamento pubblico?

Condivido i dubbi espressi dalla Cei sulla non necessità di questa legge. Mi chiedo anche se la iperprotezione di alcune persone in base a scelte individuali, facendone una categoria sociale maggiormente protetta, non possa sortire un effetto boomerang per loro.

Si dovrebbe puntare su un serio lavoro educativo dall’età evolutiva secondo le citate Linee Guida del 2015 per le istituzioni scolastiche, con la collaborazione di tutte le istituzioni educative per il rispetto di ogni persona, a prescindere dalle sue scelte personali, sempre che non ledano il diritto degli altri.

Sacerdote, professore emerito di Antropologia nella Università di Bologna