Export di armi . Bombe italiane in Yemen, archiviate le accuse ai funzionari italiani
Un frammento di una bomba con i codici della produzione in Italia della Rwm Italia. Per l'ong Mwatana è tra quelli usati in Yemen nel raid che ha ucciso 6 persone
Negato l'accesso alla giustizia per le vittime civili yemenite uccise con armi italiane. In particolare, per i familiari delle sei persone massacrate, nell'ottobre del 2016, nel villaggio yemenita di Dei Al-Hajari, bombardato nottetempo da un caccia della coalizione saudita che sganciò bombe prodotte in Sardegna. I numeri di matricola sui resti degli ordigni trovati sul luogo confermarono che si trattava di bombe costruite in Italia dalla Rwm, la cui esportazione subito apparve in evidente violazione della legge 185 del 1990 sull'export bellico a paesi in guerra, oltre che del Trattato internazionale sul commercio delle armi (Att) del 2014. I funzionari dell'Uama, l'autorità presso il ministero degli Esteri che decide sulle richieste di esportazioni delle industrie belliche italiane, diedero il via libera nonostante fossero denunciati da organismi internazionali gli attacchi su civili yemeniti.
Ma secondo la gip Maria Gaspari non c'è stato nessun abuso d'ufficio. L'aspetto sorprendente è però che la stessa giudice mette nero su bianco che «a seguito degli interventi dell’Onu e poi del Parlamento Europeo, in considerazione delle interrogazioni parlamentari sul punto e delle denunce delle Omg, l’Uama era quindi certamente consapevole del possibile impiego delle armi vendute dalla Rwm all’Arabia nel conflitto in Yemen a danno di civili, tanto che ha adottato un atteggiamento cauto e prudenziale a partire da maggio 2016». Nonostante ciò, l’Uama ha «continuato a rilasciare autorizzazioni all’esportazione di armi alla società Rwm anche negli anni successivi, in violazione quantomeno degli artt. 6 e 7 del Trattato sul commercio di armi (ATT) - conferma la gip Gaspari - ratificato dall’Italia nell’aprile 2014, atto giuridico vincolante, da cui discende che uno Stato non deve autorizzare esportazioni di armi se è a conoscenza del loro possibile impiego contro obiettivi civili». Autorizzazioni all'export che hanno dunque violato, dice la stessa Gip, il trattato internazionale. E, di fatto, anche la legge 185 del 1990, "compresa" dalla ratifica dell'ATT nel 2014. Una condotta apparentemente illegale che però non merita nemmeno di essere analizzata in un dibattimento.
Mwatana, Ecchr e Rete italiana pace e disarmo, le tre ong che avevano sporto denuncia e seguito con lo studio legale Gamberini l'iter, annunciano che «continueranno a cercare giustizia per le vittime civili del conflitto - prospettiva che potrebbe anche includere una nuova azione legale - soprattutto alla luce delle prove cruciali raccolte dall'indagine recentemente conclusa».
«Una decisione che chiude le porte della giustizia alle vittime dei troppi attacchi indiscriminati contro i civili yemeniti», commenta la Rete italiana pace e disarmo che, insieme alle ong yemenita Mwatana e tedesca Ecchr, aveva denunciato la presunta violazione di legge. «I funzionari dell'Autorità nazionale per l'esportazione di armamenti e l'amministratore delegato della Rwm Italia spa - rileva la Rete - non saranno incriminati per il loro ruolo nella fornitura di armi che hanno contribuito agli attacchi aerei illegali nello Yemen. Una decisione presa nonostante le prove schiaccianti, confermate durante le indagini, relative agli attacchi aerei indiscriminati contro i civili yemeniti - potenzialmente equivalenti a crimini di guerra - condotti dal 2015 dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti con bombe prodotte dall'azienda Rwm in Italia».
«Sebbene sia stato chiarito che le loro azioni sono state condotte in violazione del Trattato Att sui trasferimenti di armi, con la consapevolezza che le armi avrebbero potuto essere utilizzate sui civili nello Yemen - sostiene la ong - il gip non ha ritenuto i sospetti perseguibili in quanto non considera dimostrabile che l'azienda abbia tratto profitto dall'abuso di potere». «Siamo davvero stupiti non solo dalla decisione di archiviare il caso - dice Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo - ma soprattutto dalle motivazioni addotte: che senso hanno le norme nazionali e internazionali sull'esportazione di armi, con criteri e procedure chiare, se possono essere ignorate senza conseguenze?».