Fine vita. Castellone: eutanasia, far morire di fame e di sete una persona è crudeltà
«Lo dico da cattolica cresciuta in Azione cattolica. E anche da oncologo e ricercatrice. Far morire di sete e di fame una persona nelle condizioni di Vincent Lambert è una scelta crudele. Non solo inconcepibile in un’ottica cristiana, ma proprio disumana. Alimentazione e idratazione sono un supporto vitale e che, almeno fino a quando le condizioni del malato non obbligano a scelte diverse, rimane fuori discussione. Su tutto il resto dobbiamo arrivare a un accordo condiviso».
Maria Domenica Castellone, vicecapogruppo M5s al Senato, si inserisce nel dibattito sulle modifiche all’articolo 580 del Codice penale. Quello che punisce il suicidio assistito e che è al centro dell’ultimatum al Parlamento da parte della Corte costituzionale. Dopo il 24 settembre potremmo arrivare al paradosso di ritrovarci una 'legge per sentenza' proprio su materie così delicate come suicidio assistito ed eutanasia.
Senatrice, lei auspica un accordo, ma i giorni per riflettere vanno esaurendosi. Sarà rispettato il termine del 24 settembre?
Spero proprio di sì. Arriveremo ad esprimere una visione condivisa. Noi abbiamo la proposta di legge Sarli che riprende proprio le indicazioni della Consulta. E cioè evitare l’accanimento terapeutico per le malattie clinicamente irreversibili, di fronte a una patologia a prognosi infausta, che non sia di natura psichiatrica e psicologica.
Affermate però in modo esplicito che, in presenza di queste condizioni, il malato capace di intendere e di volere possa chiedere 'suicidio medicalmente assistito o trattamento eutanasico'. Vi siete spinti molto in là rispetto alle indicazioni della Consulta...
La politica deve assumersi la proprie responsabilità. Finora non è stato così. Ogni nuovo caso è diventato un’emergenza. Io vorrei che il problema fosse affrontato da questo punto di vista. Innanzi tutto dobbiamo renderci conto del progresso nell’ambito delle cure palliative. E poi distinguere con chiarezza l’accanimento terapeutico, che va sempre rifiutato, da altre forme di assistenza. La tutela della vita rimane sempre e comunque una priorità.
Ma come si concilia la tutela della vita con quella deriva eutanasica di cui parlate all’articolo 3 della vostra proposta di legge?
Se fosse per noi medici questa legge non sarebbe neppure necessaria. Basterebbe l’articolo 32 della Costituzione ('nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario'). E poi l’articolo 13 del nostro Codice deontologico, dove si dice che diagnosi e cura sono competenza esclusiva e non delegabile del medico. Nel senso che il medico sa benissimo, in scienza e coscienza, fin dove può spingersi nell’assistenza di un malato terminale e quando le stesse cure palliative non hanno più effetto. In queste condizioni, ci domandiamo, di fronte a sofferenze evidenti, insostenibili e irreversibili, è giusto far soffrire un malato terminale?
Cosa pensa della proposta della Lega, primo firmatario Alessandro Pagano, che sostiene la necessità di continuare a punire il suicidio assistito ma con pene significativamente ridotte, quasi simboliche, almeno in alcuni casi, ma con un impulso deciso alla diffusione delle cure palliative?
D’accordo, come detto, sulle cure palliative. Molti dubbi sulla proposta di infliggere pene più severe al medico rispetto ai familiari. Il medico che, ripeto, agisce sulla base della sua coscienza, non può essere penalizzato. Il familiare può certamente essere più coinvolto emotivamente, ma può avere anche motivi diversi per accelerare la fine di un congiunto. Ci andrei cauta.