Intervista. Bassoli (Europe for peace): autunno di mobilitazione per il mondo pacifista
Vienna, 11 giugno: la delegazione italiana al vertice internazionale dei movimenti per la pace. Sergio Bassoli è il secondo da sinistra
La missione umanitaria dell’inviato del Papa a Mosca, Kiev, Washington. L’attivismo diplomatico del presidente Lula. L’incontro a Vienna dei movimenti internazionali per la pace. Tutte situazioni che spingono la galassia del pacifismo italiano a una nuova fase di attività: con una nuova missione umanitaria in Ucraina e un’altra grande manifestazione nazionale a Roma. Sergio Bassoli del coordinamento della rete italiana Europe for peace spiega quali saranno le prossime tappe di un cammino mai interrotto.
Il vertice della società civile a Vienna si è chiuso con l’appello per una nuova fase di attivismo.
Sì, a Vienna l’11 giugno con i nostri partner internazionali abbiamo deciso di rilanciare una grande mobilitazione dal 30 settembre all’8 ottobre. Avevamo chiuso l’incontro chiedendo ai governi, all’Europa e alle Nazioni Unite, di agire per un immediato cessate il fuoco e per l’apertura di un negoziato, per una pace stabile e una sicurezza comune. Ma quel summit ha prodotto anche la decisione di sostenere le iniziative di mediazione. Vogliamo dare voce ai paesi che si stanno adoperando per mettere sul tavolo ipotesi di negoziato. L’alleanza occidentale non ha formulato nessuna proposta efficace se non l’escalation militare. Non così l’altra parte del mondo: Santa Sede Brasile, stati africani, la stessa Cina.
E come intende muoversi in Italia il movimento per la pace?
Stiamo preparando una grande manifestazione a Roma, durante la settimana internazionale di mobilitazione. La data? Con ogni probabilità a inizio ottobre. E stiamo organizzando assemblee e incontri: ad Assisi con le realtà cattoliche del movimento. Ci sarà una nuova missione di aiuti in Ucraina con la carovana Stop the war now.
La società civile italiana oltre a manifestare vuole puntare sui tentativi diplomatici? È così. Vogliamo sostenere le ambasciate dei paesi che tentano vie diverse da quella militare. E vogliamo essere noi stessi mediatori, andare a Mosca e a Kiev. Coscienti di quanto sia complicato oggi parlare di pace in Ucraina e Russia.
Papa Francesco, col cardinale Matteo Zuppi, è riuscito a parlare con Mosca, Kiev, Washington. E non si esclude Pechino.
La Santa sede sta svolgendo un’azione fondamentale. Aprire piccoli spazi - ponendo il tema dei minori ucraini portati in Russia, dei prigionieri, del rispetto tra religioni - può riaprire un canale di dialogo, a prescindere dal contenuto. È fondamentale creare opportunità di incontro. Anche noi ci siamo messi a disposizione, siamo in contatto col cardinale Zuppi per dare il contributo dal basso di chi “costruisce ponti”. Se si apre un di negoziato, i popoli russo e ucraino saranno fondamentali perché un accordo non sia solo firmato a un tavolo, ma sia strumento di riconciliazione e ricomposizione. La conferenza di Vienna ha scelto di mettere in campo la società civile. In Ucraina è aumentata la pressione per l’arruolamento su una popolazione stanca, martoriata da una guerra che produce violenza, morte e distruzioni. Gli si chiede un ulteriore sacrificio. È vitale arrivare a un accordo - tra Stati Uniti, Cina e comunità internazionale - per fermare la mattanza.
Segnali per una possibile nuova fase diplomatica arrivano da “paesi non allineati” come il Brasile.
L’entrata in campo di Lula è molto importante, questo suo terzo mandato si sta caratterizzando per l’impegno internazionale. Sta ridando vita ai Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), ma soprattutto ha mandato un messaggio forte all’Occidente, dicendo che il Brasile non fornirà armi né a uno né all’altro dei contendenti, che l’unica soluzione è quella del negoziato, non la vittoria, e che la guerra va fermata. E ha chiesto con forza una riforma del Consiglio di sicurezza perché la comunità internazionale investa sulla costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare.
Il Brasile non ha il peso della Cina. Perché è un interlocutore importante?
La voce di Lula è ascoltata da tutto quello che viene definito il Global South, il sud globale, alternativo all’Occidente industrializzato. Sono convinto che questa sia una fase importante, forse portatrice di cambiamenti. Di certo c'è che la società civile non si arrende alla guerra.